Il “Daspo a vita per i corrotti” previsto dalla legge anticorruzione (la 3/2019, in vigore dal 31 gennaio) ha importanti ricadute anche per le persone giuridiche. Le nuove norme inaspriscono infatti le sanzioni interdittive che, in base al Dlgs 231/2001, colpiscono le persone giuridiche nel cui interesse o vantaggio sono stati commessi i reati per cui scatta, nei confronti della persona fisica, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità in perpetuo di contrattare con la Pa.
Con la legislazione precedente (e cioè fino al 31 gennaio) la durata massima delle misure interdittive per la persona giuridica (tra le quali rientra il divieto di contrattare con la Pa, l’esclusione da agevolazioni o finanziamenti e la revoca di autorizzazione e licenze) era di 2 anni: da giovedì 31 gennaio, il termine di 2 anni diventa invece la soglia minima, mentre quella massima sale a 7 anni.
Per le persone giuridiche il limite di 2 anni rimane invece per i reati commessi a suo favore in materia ad esempio di criminalità organizzata, terrorismo, riciclaggio internazionale, o contro l’ambiente e la salute pubblica, che il legislatore ritiene quindi meno gravi della corruzione.
Le novità toccano direttamente anche gli studi professionali associati organizzati in forma societaria (in linea con quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza 4703/2012), tra cui anche le “società tra avvocati”, in seguito alle modifiche apportate dalla legge 124/2017. L’assorbimento del reato di “millantato credito” (ora soppresso) nel delitto di “traffico di influenze illecite” estende l’incidenza delle sanzioni interdittive per le categorie professionali che hanno a che fare con la Pa per conto dei loro clienti: la legge 3/2019 prevede infatti che il nuovo reato faccia scattare sia l’interdizione perpetua per la persona fisica che le sanzioni pecuniarie per la persona giuridica.
Gli inasprimenti per le persone giuridiche non sono però accompagnati dalla possibilità di godere dei nuovi benefici previsti in caso di “ravvedimento” per il corrotto e il corruttore: la legge 3/2019 introduce infatti la non punibilità dei reati di corruzione – e di quelli, spesso collegati, di turbativa degli incanti – per la persona fisica che, entro 4 mesi dalla commissione del fatto, lo denunci volontariamente, restituisca il profitto e fornisca indicazioni per assicurare la prova del reato e individuare gli altri autori.
La persona giuridica che collabora – per di più eliminando le carenze dei modelli organizzativi che hanno determinato il reato – ha solo uno sconto di pena, che rischia però di non produrre effetti concreti: per il Codice degli appalti, infatti, una sentenza di condanna, o patteggiamento, riportata da un amministratore, socio, membro di organo di controllo o vigilanza, procuratore, direttore tecnico costituisce causa di esclusione da una gara per almeno 1 anno dalla cessazione dell’interessato dalla carica. Si tratta di un pregiudizio ulteriore che potrebbe verificarsi nel caso in cui l’autore del reato, per beneficiare della nuova causa di non punibilità, si “penta” chiamando in correità uno dei soggetti di cui sopra, che sarebbe inevitabilmente spinto - anche solo per una ragione di mera opportunità - alle dimissioni non appena avuta notizia dell’indagine.
Per le persone giuridiche, le nuove norme sembrano quindi puntare quasi esclusivamente sull’aspetto sanzionatorio, senza premiare concretamente il ravvedimento: al contrario, la natura sempre più afflittiva delle misure interdittive (cui si aggiungono rilevanti sanzioni economiche) dovrebbe invece imporre la previsione di forme adeguate di riabilitazione. In questo senso si sono mossi altri ordinamenti stranieri, prevedendo la non punibilità degli enti che, dopo un periodo di messa alla prova monitorato dalla magistratura, dimostrino di avere raggiunto un pieno ravvedimento.
AdA
Scarica la legge 9 gennaio 2019, n. 3
fonte Sole24Ore 27/19 GC