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Antincendio. Porte, chiusure e finestre: aggiornata la UNI EN 1634-1

Antincendio. Porte, chiusure e finestre: aggiornata la UNI EN 1634-1

È entrata in vigore il 15 marzo la UNI EN 1634-1:2018 (che sostituisce la versione del 2014) e detta le indicazioni per le prove di resistenza al fuoco per porte e sistemi di chiusura e finestre apribili.

La norma stabilisce un metodo per la determinazione della resistenza al fuoco di porte, sistemi di chiusura e finestre apribili destinati ad essere installati in aperture praticate in elementi di separazione verticale, quali:

  • porte incernierate o su perni;
  • porte scorrevoli in senso orizzontale e in senso verticale, incluse porte non rigidamente scorrevoli e sezionali;
  • porte a libro;
  • porte basculanti;
  • sistemi di chiusura avvolgibili;
  • finestre apribili;
  • cortine flessibili apribili.

UNI raccomanda di utilizzarla unitamente alla UNI EN 1363-1.

AdA

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Privacy. L’Autority «consiglia» il responsabile dati

Privacy. L’Autority «consiglia» il responsabile dati

La nomina di un Dpo (data protection officer, in italiano Rpd, responsabile per la protezione dei dati), che secondo il regolamento europeo non è obbligatoria per tutti, è «raccomandata» dal Garante a tutti i titolari «anche alla luce del principio di accountability che permea il regolamento».

Questa una delle indicazioni fornite dal Garante della privacy nelle Faq, pubblicate sul suo sito, relative al comparto privato in vista dell’entrata in vigore del Regolamento (Gdpr) il 25 maggio 2018.

Si ripete, dunque, quello che già era accaduto con la tenuta del «Registro delle attività di trattamento», disciplinato dall’articolo 30 del Gdpr. Una misura prescritta per soggetti o trattamenti di rilevante importanza diventa consigliata alla generalità dei titolari e individuata come modalità favorita per dimostrare il rispetto dei requisiti del Gdpr (in caso di controversie, ispezioni, procedimento davanti al Garante).

Il motivo è facile da intuire: il regolamento è una norma nuova che, almeno rispetto alla legislazione italiana, muta la struttura del sistema privacy. Fino al 25 maggio, i titolari devono dimostrare di avere messo in atto misure minime per la tutela dei dati trattati; dal 25 maggio in poi le misure che permetteranno di dimostrare la compliance con il regolamento devono essere sufficienti (il principio di accountability, appunto).

La sufficienza delle misure andrà misurata ex ante. Il titolare dovrà provare di aver adottato misure tali da rendere i dati e i trattamenti sicuri e legittimi. Il registro in cui annotare trattamenti e regole può certamente costituire una prima prova di ciò; e così un Dpo validamente scelto (garanzia di competenza e professionalità) e dotato delle necessarie strutture e risorse (personale, locali, attrezzature).

Di certo la sua nomina dovrà essere un processo sostanziale e non un obolo formale alle prescrizioni del Gdpr. Quindi, non solo il Dpo designato dovrà possedere i requisiti di «conoscenza specialistica della normativa e delle prassi in materia di protezione dei dati» previsti dall’articolo 37 del regolamento, ma dovrà anche interagire con le funzioni aziendali per assicurare il rispetto della normativa, la gestione delle criticità e, in aggiunta, «fungere da punto di contatto per l’autorità di controllo per questioni connesse al trattamento» (articolo 39).

Questa inedita figura a metà tra la consulenza e la garanzia è stata individuata fin da subito come una delle novità più evidenti introdotte dal Regolamento. Il Dpo può essere sia un consulente che un dipendente, ma anche in quest’ultimo caso deve agire in piena indipendenza e autonomia, senza ricevere istruzioni e riferendo direttamente ai vertici aziendali.

Non ci sono incompatibilità con altri incarichi, ma il Garante evidenzia la necessaria assenza di un «conflitto di interesse» in capo al Dpo. Ciò può creare qualche problema all’interno delle aziende, che in molti casi potrebbero essere portate a nominare responsabile un dipendente che si sta già occupando attivamente di privacy.

Invece, dice il Garante, è sconsigliabile nominare Dpo chi opera all’interno di strutture che hanno potere decisionale in ordine alle finalità e alle modalità del trattamento dei dati, e quindi (se ne deduce) anche chi ha costruito e gestisce in prima persona il sistema e i documenti privacy di una società. Queste risorse dovranno essere, semmai, il punto di contatto con il Dpo. La scelta della persona da nominare non va quindi sottovalutata. Il responsabile è una professione creata ex novo dal Regolamento; potrebbe diventare uno dei cardini su cui ruota l’intero sistema privacy.

fonte Sole24Ore 85/18 AB

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Traffico illecito di rifiuti e attività organizzate: nuovo reato nel Codice Penale

Traffico illecito di rifiuti e attività organizzate: nuovo reato nel Codice Penale

Entrerà in vigore il prossimo 6 aprile il Decreto legislativo 1 marzo 2018, n. 21, di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale, che contiene, all'art. 3 (Modifiche in materia di tutela dell'ambiente) una previsione di reato in materia di traffico illecito di rifiuti all'art. 452-quaterdecies "Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti".

Tale reato si aggiunge agli altri contro la salute pubblica di cui all'art. 453) e agli altri reati ambientali introdotti Legge sugli ecoreati 22 maggio 2015, n. 68 "Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente”. Infine, all'articolo 7 del D.Lgs. n.21/2018 viene disposta la abrogazione dell'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti).

Il Principio della riserva del Codice è stato previsto da una delle deleghe di cui alla l. n. 103/2017 ed è sancito dal nuovo art. 3-bis c.p. secondo il quale «Nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell'ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia».

Il D.Lgs. n.21/2018 apporta modifica al Codice Penale (regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398 introducendo l'Art. 452-quaterdecies - Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni. Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter, con la limitazione di cui all'articolo 33.

Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell'ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione del danno o del pericolo per l'ambiente.

È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca.

Scarica il Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21

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Sicurezza sul lavoro, nelle imprese certificate calano frequenza e gravità degli infortuni

Sicurezza sul lavoro, nelle imprese certificate calano frequenza e gravità degli infortuni

Il passaggio delle aziende da un livello di sicurezza base a un livello di sicurezza certificato comporta una riduzione pari a circa il 16% degli infortuni, che nel 40% dei casi sono meno gravi rispetto a quelli che avvengono nelle imprese non certificate. L’entità di queste riduzioni, però, può variare sensibilmente a seconda del settore di attività. In quello del legno, per esempio, il calo della frequenza degli infortuni nelle aziende certificate è solo del 7%, mentre l’indice che ne misura la minore gravità tocca il 61%. Il tessile, invece, registra una riduzione del 10% dell’indice di frequenza e del 30% di quello di gravità.
 
A sei anni dalla prima edizione, il nuovo quaderno dell’Osservatorio Accredia dedicato alla salute e alla sicurezza sul lavoro, frutto della collaborazione con Inail e Aicq (Associazione italiana cultura qualità), conferma la maggiore efficacia delle politiche di prevenzione nelle aziende che adottano dei sistemi di gestione certificati sotto accreditamento. Come sottolineato dal presidente dell’Inail, Massimo De Felice, nel corso della conferenza stampa che si è svolta oggi a Roma presso il Parlamentino dell’Istituto in via IV Novembre, “la normazione tecnica volontaria è un ausilio prezioso”, perché “potenzia la legislazione, fornisce documenti guida che definiscono gli interventi da adottare e i criteri per garantirne l’affidabilità, stabilendo i livelli di prestazione nei settori commerciali, industriali e del terziario, a tutela della sicurezza dei lavoratori, dell’ambiente e dei consumatori”.
 
Con la certificazione, ha spiegato De Felice, “è garantito il rispetto delle norme, documentata la qualità dell’impresa, correttamente tutelata la competitività. Sono tutti mezzi e azioni che contribuiscono, in grande, al miglioramento del sistema socio-economico”. Per il presidente dell’Inail, “l’analisi promossa insieme ad Accredia e Aicq è un primo risultato utile per individuare i fattori che hanno condotto le imprese sulla strada della certificazione e per valutare gli esiti di questa propensione alla qualità. È un risultato che apre a domande e curiosità, sollecitando l’arricchimento della base informativa, il controllo intertemporale, l’analisi di causalità”.
 
Alcune risposte sono già contenute nel quaderno appena pubblicato, che rappresenta una sorta di bussola per orientarsi in uno scenario in rapida evoluzione, che nell’ultimo triennio ha visto aumentare di un terzo il numero delle aziende che hanno scelto di certificare sotto accreditamento il proprio sistema di gestione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (Sgsl). “Oggi sono quasi 17mila, il 9% in più rispetto al 2016 e il 32% in più rispetto a tre anni fa”, ha precisato Giuseppe Rossi, presidente di Accredia, l’ente italiano di accreditamento. “Sono numeri importanti – ha aggiunto – che non ci sollevano dall’impegno nel diffondere sempre di più la certificazione accreditata come buona pratica e leva di sviluppo per le imprese. Sono le stesse imprese, infatti, a dirci che la certificazione porta con sé dinamiche di efficienza che si riverberano su tutta la struttura aziendale e che ne aumentano la competitività, anche attraverso un miglioramento dell’immagine nel mercato”.
 
Un’indagine qualitativa condotta attraverso la somministrazione di un questionario ai responsabili della sicurezza e al top management di 311 aziende certificate secondo lo standard britannico OHSAS 18001 – finora norma di riferimento ma destinato a essere sostituito dalla nuova certificazione internazionale UNI ISO 45001 pubblicata lo scorso 12 marzo, alla cui elaborazione hanno dato un importante contributo sia Inail che Accredia – ha rilevato che quasi tutte le imprese (98,4%) dopo la certificazione del proprio sistema di gestione hanno verificato un miglioramento della sicurezza, misurato attraverso il numero di infortuni e malattie professionali (74,6% dei rispondenti) e dei mancati infortuni (70,1%), le ore di formazione (63,3%) e le non conformità gestite (55,6%).
 
Nella maggioranza dei casi – ha sottolineato il presidente di Aicq, Claudio Rosso – la scelta di certificare il sistema di gestione deriva da un’iniziativa della direzione aziendale e, nei settori delle costruzioni e del commercio, dalla richiesta del mercato. Il miglioramento dell’immagine che coinvolge l’impresa certificata rispetto ai propri clienti, ma anche rispetto al gruppo industriale di appartenenza, è un asset per l’azienda che porta con sé un importante ritorno di competitività. Allo stesso tempo, circa un terzo delle imprese certificate rileva un limite a una maggiore diffusione della certificazione nella scarsa conoscenza dei suoi benefici, a cui si aggiunge, per le aziende del settore delle costruzioni, un’elevata incidenza dei costi iniziali”.
 
Dalle risposte contenute nei questionari emerge anche una maggiore efficienza dei processi interni nelle imprese certificate per la salute e la sicurezza, dovuta all’integrazione con altri sistemi di gestione, in particolare qualità e ambiente, che ha generato processi virtuosi di miglioramento continuo. La nuova norma ISO 45001 tiene in considerazione, facilitandola, proprio l’integrazione con altri sistemi di gestione e sostiene la consultazione e la partecipazione dei lavoratori, favorendo l’affermazione di una cultura aziendale della prevenzione basata sul coinvolgimento attivo e partecipato di tutti i soggetti tutelati.
 
Dall’analisi regionale dei dati sulle aziende certificate per la norma OHSAS 18001 si rileva una maggiore attenzione al tema della sicurezza in Valle d’Aosta (24,9% sul totale delle imprese certificate per i sistemi di gestione), Liguria (18,5%), Friuli Venezia Giulia (17,0%) e Trentino Alto Adige (14,7%) nel nord, in Umbria (15,4%), Marche (14,6%) e Toscana (14,5%) nel centro, mentre al sud spiccano le percentuali di Molise (13,5%), Basilicata (13,1%) e Puglia (12,8%).

Scarica il quaderno "La sicurezza sui luoghi di lavoro e la certificazione"

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