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News - Agroalimentare

News - Agroalimentare (79)

Dodici stelle per i prodotti biologici: un nuovo logo per gli alimenti di qualità nell’Ue

 

stelleDodici stelle per i prodotti biologici. Dal primo luglio un nuovo logo identificherà gli alimenti di qualità nell’Ue, di Attilio Montefusco e Milena Petriccione

I consumatori di tutta Europa stanno diventando sempre più consapevoli dei benefici dell’agricoltura biologica come sistema agricolo sostenibile.

L’Italia è leader del biologico in Europa, sia per numero di operatori che per superfici agricole convertite.

Il settore ha attraversato indenne la crisi, infatti i dati degli ultimi anni parlano addirittura di una crescita nei consumi, aumentati del 7,4 per cento solo nel primo semestre 2009 (Dati Ismea). Un fatturato di circa tre miliardi di euro con ben 45 mila aziende agricole biologiche e oltre un milione di ettari di superficie coltivata.

In Campania, presso l’assessorato all’Agricoltura e alle Attività Produttive nell’apposito Elenco Operatori Agricoltura Biologica in Campania (Erab), sono registrati, a tutto dicembre 2007, 1.488 operatori suddivisi come nella tabella in pagina.

La produzione biologica

Nell’ultimo ventennio, l’offerta di prodotti agricoli biologici è fortemente aumentata, nella maggior parte degli Stati dell’Unione Europea in quanto un numero sempre crescente di cittadini-consumatori scelgono prodotti bio.

Un ulteriore stimolo per il mercato dei prodotti biologici è dato dalle recenti riforme della politica agricola comune, che ha posto l’accento sull’orientamento al mercato e sull’offerta di prodotti di qualità che rispecchiano le esigenze dei consumatori (…).

Il nuovo Reg.CE n.834/2007 ha definito la produzione biologica come un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali.

Il metodo di produzione biologico esplica pertanto una duplice funzione sociale, provvedendo da un lato a un mercato specifico che risponde alla domanda di prodotti biologici dei consumatori e, dall’altro, fornendo beni pubblici che contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali e allo sviluppo rurale.

Nell’ambito della produzione biologica rientrano l’agricoltura, l’allevamento e le fasi di trasformazione dei prodotti ottenuti dalla produzione primaria.

L’agricoltura biologica dovrebbe fare affidamento prevalentemente sulle risorse rinnovabili nell’ambito di sistemi agricoli organizzati a livello locale.

Al fine di limitare al minimo l’uso di risorse non rinnovabili, i rifiuti e i sottoprodotti di origine animale e vegetale dovrebbero essere riciclati per restituire gli elementi nutritivi alla terra. La produzione biologica vegetale dovrebbe contribuire a mantenere e a potenziare la fertilità del suolo nonché a prevenirne l’erosione (…)

Gli elementi essenziali del sistema di gestione della produzione biologica vegetale sono la gestione della fertilità del suolo, la scelta delle specie e delle varietà, la rotazione pluriennale delle colture, il riciclaggio delle materie organiche e le tecniche colturali.

Si dovrebbe ricorrere all’aggiunta di concimi, ammendanti e prodotti fitosanitari soltanto se tali prodotti sono compatibili con gli obiettivi e i principi dell’agricoltura biologica.

La produzione animale è una componente essenziale dell’organizzazione della produzione agricola nelle aziende biologiche?(…)

I prodotti biologici trasformati dovrebbero essere ottenuti mediante procedimenti atti a garantire la persistenza dell’integrità biologica e delle qualità essenziali del prodotto in tutte le fasi della catena di produzione.

Inoltre in tali prodotti la presenza di Ogm è limitata per quanto possibile alla presenza accidentale e tecnicamente inevitabile durante la produzione.

L’agricoltura biologica è sottoposta a controlli che riguardano tutta la filiera produttiva. Nel biologico esiste un Sistema di Controllo uniforme in tutta l’Ue, creato nel tempo da appositi regolamenti comunitari che si rivolgono sia alle coltivazioni vegetali sia all’allevamento degli animali, senza trascurare l’agroalimentare. Tali controlli possono essere effettuati da tecnici di strutture pubbliche o da tecnici di enti accreditati ai sensi della norma EN 45011.

Nel 2008, oltre al succitato regolamento del Consiglio, sono stati adottati due nuovi regolamenti della Commissione (Regg. CE n. 889/2008 e n. 1235/2008) che disciplinano la produzione biologica, l’importazione e la distribuzione di prodotti biologici, nonché la loro etichettatura entrati in vigore il 1 gennaio 2009. Alcune delle nuove disposizioni riguardanti l’etichettatura entreranno in vigore dal 1° luglio 2010.

Nel Regolamento della Commissione (CE) n. 889/2008, e successive modifiche ed integrazioni, sono disciplinati tutti i livelli di produzione vegetale ed animale, dalla coltivazione del terreno e dall’allevamento di animali alla trasformazione, alla distribuzione e al controllo degli alimenti biologici. Esso riporta numerosi dettagli tecnici e rappresenta, per la maggior parte, un ampliamento del Regolamento originale sul settore biologico.

In aggiunta alla normativa Ue in materia di agricoltura e produzione biologica, gli operatori che lavorano nel settore dell’agricoltura e della trasformazione biologica devono rispettare le regole generalmente applicabili alla produzione e alla trasformazione dei prodotti agricoli.

Ciò significa che in generale tutte le norme generalmente applicabili in materia di regolamentazione di produzione, trasformazione, commercializzazione, etichettatura e controllo dei prodotti agricoli si applicano anche ai cibi biologici.

Inoltre il Regolamento prevede che dal 1° luglio 2010 sull’etichetta, sotto nello spazio visivo del logo comunitario, dovrà essere inserito il numero di codice dell’autorità o dell’organismo di controllo e il luogo di origine delle materie prime agricole.

Il codice inizia con la sigla identificativa dello Stato membro o del paese terzo, secondo i codici paese di due lettere di cui alla norma internazionale ISO 3166 (per l’Italia IT), seguono un codice di tre lettere che identifica il metodo di produzione come “bio”, che stabilisce un nesso con il metodo di produzione biologica ed numero di riferimento, composto al massimo di tre cifre, stabilito dalla Commissione o Stato Membro per gli “organismi di controllo” riconosciuti.

In pratica i prodotti ottenuti, confezionati ed etichettati anteriormente al 1° luglio 2010, a norma del Regolamento (CEE) n. 2092/91 e del Regolamento (CE) n. 834/2007, potranno continuare ad essere commercializzati, con termini che fanno riferimento al metodo di produzione biologico, fino ad esaurimento delle scorte

Relativamente allo smaltimento delle scorte, il limite temporale massimo previsto arriva al 1° gennaio 2012. Circa i materiali da imballaggio prodotti a norma dei Regolamenti (CEE) n. 2092/91 è (CE) n. 834/2007, potranno continuare ad essere utilizzati per i prodotti commercializzati con termini che fanno riferimento al metodo di produzione biologico, fino al 1° gennaio 2012, a condizione che i prodotti siano conformi al regolamento (CE) n. 834/2007.

Nuovo marchio

Al termine del concorso bandito dall’Ue, circa 500 milioni di cittadini, hanno scelto il nuovo logo che contrassegnerà i prodotti biologici confezionati dal prossimo primo luglio.

Il logo vincente “Euro-leaf” o Eurofoglia è la raffigurazione stilizzata di una foglia delimitata da dodici stelle bianche, simbolo dell’Ue, su uno sfondo verde con al centro una cometa.

L’utilizzo del logo in etichetta, diventerà obbligatorio assieme al luogo di produzione ed alle altre indicazioni menzionate, per i prodotti biologici dei Paesi Ue e facoltativo per alimenti provenienti da paesi terzi. Esso indicherà che i prodotti sono stati ottenuti in conformità al Regolamento Ue sull’agricoltura biologica e pertanto promuove la fiducia dei consumatori riguardo all’origine e alla qualità dei loro alimenti e bevande.

Il vantaggio maggiore, derivante dall’applicazione del logo biologico Ue, sarà che i consumatori negli Stati Membri potranno facilmente identificare i prodotti biologici, indipendentemente dalla loro origine.

Il logo non può essere modificato né combinato con altri elementi, ma è possibile solo affiancarvi altri marchi nazionali o privati già esistenti. Al fine di migliorare l’identificazione di tutti i prodotti oltre a questo nuovo simbolo sono previsti altri elementi quali il numero di codice standardizzato dell’organismo ed il luogo di produzione delle materie prime agricole che entrano nella composizione del prodotto. Le produzioni biologiche vengono certificate da Organismi di Controllo autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, le analisi sui prodotti in commercio condotte da laboratori accreditati e i controlli pubblici effettuati mediante ispezioni direttamente in azienda, per verificare che si rispettino i requisiti legali. Solo rispettando tali requisiti i prodotti possono essere venduti come biologici e guadagnare il diritto di portare il logo Euro-leaf.

I numeri nella regione

Sezione Sottosezione

1) Produttori Agricoli a) – Aziende “biologiche” 636

b) – Aziende “in conversione” 345

c) – Aziende “miste” 295

2) Preparatori 210

3) Raccoglitori dei prodotti spontanei 2

Totale 1488

Sono quasi millecinquecento gli operatori attivi nel settore biologico

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Olio d’oliva, regole per la filiera

 

Dall’inserto Agrimed de Il Denaro di gennaio: Olio d’oliva, regole per la filiera.  La commercializzazione dei prodotti e le normative per chi vende e chi consuma
Attilio Montefusco e Milena Petriccione

L’ulivo (Olea europaea L.) è un albero leggendario, tipico del paesaggio del bacino del Mediterraneo, conosciuto fin dall’antichità per i suoi frutti (drupe), che sono utilizzati sia per l’estrazione dell’olio che per il consumo diretto nell’alimentazione. Era conosciuto già dagli Egizi come simbolo di pace e di concordia, di sapienza e di prosperità, è stato poi coltivato dai Greci e dai Romani che estraevano dai suoi frutti l’olio utilizzato per uso alimentare ma anche per uso aromatico e balsamico, oltre che per far ardere lampade e torce. La sua coltivazione iniziata nell’antichità grazie a diversi popoli e culture, si estende tra il 35° e il 45° parallelo di latitudine Nord, dove il clima temperato ben corrisponde alle sue esigenze colturali. L’ottenimento di un prodotto di qualità elevata è correlato al grado di maturazione delle olive al momento della raccolta ed influenza in particolar modo le caratteristiche organolettiche e il colore dell’olio. Il giusto grado di maturazione è rappresentato dall’invaiatura, cioè quando si ha il viraggio della buccia dal verde intenso ad una colorazione finale che varia, secondo la cultivar, al rosso porpora e al nero. Una raccolta molto precoce dà oli di colore verde intenso con note di amaro e piccante mentre una raccolta tardiva dà oli con maggiore acidità (e minor quantità di acidi polinsaturi) unita a un fruttato dolce. La qualità dell’olio è influenzata anche dallo stato sanitario dei frutti, dalle modalità di raccolta, di trasporto al frantoio e dalla molitura. L’olio d’oliva possiede qualità organolettiche e nutritive che gli permettono di avere un mercato ad un prezzo elevato, tenuto conto dei costi di produzione, rispetto alla maggior parte degli altri grassi vegetali. Vista questa situazione di mercato, sono state stabilite nuove norme di commercializzazione, contenenti in particolare norme specifiche in materia di etichettatura, complementari a quelle previste per i prodotti alimentari.

Caratteristiche

L’oliva è un frutto ricco d’acqua (circa il 50 per cento del suo peso) e l’estrazione dell’olio può avvenire con mezzi puramente naturali. ” sufficiente ridurre le olive ad una pasta con un’operazione di molitura e poi sottoporla a spremitura o a centrifugazione per ottenere la separazione dell’acqua e dell’olio dalle parti solide del frutto. Successivamente, poiché l’acqua e l’olio non sono miscibili, è facile separarli per centrifugazione. Gli oli vengono definiti “vergini” quando sono ottenuti dal frutto dell’olivo soltanto mediante processi meccanici o altri processi fisici, che non causano alterazioni del prodotto, e che non hanno subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione. In base alle normative vigenti (Reg. CE n. 2568/91) gli oli vergini vengono classificati in relazione a determinate caratteristiche chimiche, prima fra tutte l’acidità libera (espressa in grammi di acido oleico per 100 grammi di olio).

Gli oli di oliva vergini sono quelli commestibili per eccellenza e sono l’”olio extra vergine di oliva” e l’”olio di oliva vergine “, così definiti in base alla loro acidità ed in particolare il primo deve avere un’acidità massima dello 0,8 per cento ed il secondo del 2 per cento. Tutti gli oli con un’acidità superiore al 2 per cento non sono commestibili e vengono denominati “olio di oliva vergine lampante”. Tali oli possono essere raffinati ed utilizzati nella preparazione del cosiddetto “olio d’oliva”; quest’ultimo, infatti, viene ottenuto dalla miscelazione dell’olio di oliva vergine con olio d’oliva raffinato fermo restando l’ obbligo di esprimere un tenore di acidità libera inferiore all’1 per cento.

Durante il processo di molitura si forma la sansa composta dai residui del frutto dell’ulivo e dai frammenti del nocciolo, da cui si ricava nei sansifici l’”olio di sansa greggio” mediante il trattamento con solventi (sostanze chimiche). L’olio di sansa greggio e l’olio di sansa raffinato non sono commestibili a meno che quest’ultimo non venga mescolato con olio di oliva vergine ottenendo un olio con un tenore di acidità libera inferiore all’1 per cento (“olio di sansa di oliva”). Esso risulta commestibile ma ha una composizione e proprietà completamente differenti, ed è un olio di minor pregio e costo.

Commercializzazione

Gli oli d’oliva commestibili, destinati al consumatore, in base a quanto stabilito dal Reg. CE 1019/2002, devono essere messi in vendita esclusivamente preconfezionati in recipienti, della capacità massima di 5 litri provvisti di un sistema di chiusura che perda la sua integrità dopo la prima utilizzazione, anche se acquistati direttamente dal frantoio o presso la sede privata del piccolo produttore locale.

Gli oli destinati alla preparazione dei pasti nei ristoranti, ospedali, mense o altre collettività simili possono essere preconfezionati in recipienti di capacità massima non superiore a venticinque litri e non sono soggetti a sistemi di chiusura di garanzia.

L’etichettatura

Le indicazioni da riportare in etichetta sono previste sia dalla normativa generale in materia di etichettatura (D.Lgs. 109/92) presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari, emanato in attuazione dell’apposita direttiva comunitaria, sia da normative comunitarie che nazionali specifiche di settore.

Il consumatore deve essere informato e venire a conoscenza di alcune informazioni simultaneamente; infatti, tre delle indicazioni obbligatorie (denominazione del prodotto, quantità e termine minimo di conservazione) debbono apparire nello stesso campo visivo.

Sull’etichetta devono essere presenti altre formazioni facoltative delle lavorazioni “a freddo”, delle indicazioni relative all’acidità e di quelle concernenti le caratteristiche organolettiche. L’indicazione dell’origine geografica “Olio Italiano” potrà essere riportata solo nel caso in cui l’olio vergine, o extra vergine sia stato ottenuto in Italia da olive italiane. Nel caso di miscele, si potrà indicare l’origine della quota prevalente dell’olio a condizione che la stessa sia almeno pari al 75 per cento.

L’etichettatura nutrizionale per gli oli di oliva comporta l’elencazione, nell’ordine, delle indicazioni relative al valore energetico e alla quantità di proteine, di carboidrati e di grassi e che è obbligatorio far riferimento alla quantità di acidi grassi saturi, quando si indica la quantità di una delle seguenti sostanze: acidi grassi polinsaturi, acidi grassi monoinsaturi e colesterolo. Tali norme si sono rivelate insufficienti ad evitare che i consumatori siano indotti in errore sulle reali caratteristiche e l’origine di taluni prodotti; quindi, a partire dal 1° luglio 2009 è entrato in vigore il Regolamento (CE) n. 182/2009, che ha introdotto nuove norme di commercializzazione dell’olio di oliva. Le modalità applicative di questo regolamento sono state recepite dal Decreto del Mipaaf (Ministero Politiche Agricole, Ambientali e Forestali) del 10 novembre 2009. In linea con le norme di tracciabilità della legislazione alimentare europea, è stata introdotta l’etichettatura di origine obbligatoria, a tutela sia del consumatore che ha il diritto di sapere che cosa sta comprando sia dei produttori che devono essere in grado di impiegare metodi di produzione di qualità e, facendoli conoscere opportunamente, di utilizzarli come strumenti di marketing. Nella Comunità Europea, una parte significativa degli oli di oliva vergini ed extra vergini è costituita da miscele di oli originari di vari Stati membri e paesi terzi, con il presente regolamento è diventata obbligatoria l’indicazione dell’origine sull’etichetta delle suddette miscele. Tali disposizioni consentiranno di abolire le norme precedenti relative all’indicazione in etichetta dell’”origine predominante”, che risultavano complesse da applicare, difficili da controllare e potenzialmente fuorvianti.

Miscele europee

Nel caso di miscele di oli di oliva ottenuti da oli provenienti da Stati membri o paesi terzi, in etichetta dovrà essere apposta una delle seguenti diciture: “miscela di oli di oliva comunitari” oppure un riferimento allo Stato d’origine comunitario; “miscela di oli di oliva non comunitari” oppure un riferimento al Paese d’origine non comunitario; “miscela di oli di oliva comunitari e non comunitari”oppure un riferimento allo Stato d’origine comunitario e non comunitario.

Il consumatore leggendo con attenzione l’etichetta presente sulla confezione di olio sa esattamente cosa sta comprando ed ha la possibilità di distinguere il prodotto italiano dagli oli di oliva provenienti da altri Paesi comunitari e non comunitari.

Le indicazioni in etichetta

Voci obbligatorie

1.Denominazione di vendita

2.Indicazione “Olio di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici” (per l’olio extravergine);

“Olio di oliva ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”(per l’olio di oliva vergine).

3.Riferimenti al responsabile commerciale (nome e/o marchio, indirizzo).

4.Sede dello stabilimento di confezionamento con codice alfanumerico identificativo della provincia.

5.Indicazione dell’origine, secondo quanto stabilito dal Reg. Ce 182/09.

6.Quantità.

7.Termine minimo di conservazione indicato almeno con mese/anno.

8.Lotto (facoltativo se il termine minimo di conservazione è riportato con l’indicazione del gg/mm/aaaa).

9.Modalità di conservazione (es. Conservare al riparo dalla luce)

Voci facoltative

1.Indicazioni relative al metodo estrattivo quali “prima spremitura a freddo” oppure “estratto a freddo”, secondo quanto stabilito dal Reg. CE 1019/02.

2.Indicazioni relative alla caratteristiche organolettiche.

3.Indicazioni relative all’acidità massima, ma solo se accompagnate dalle indicazioni (riportate in caratteri della stessa grandezza) relative all’indice dei perossidi, del tenore di cere e dell’assorbimento ultravioletto.

4.Indicazioni relative agli abbinamenti gastronomici del prodotto.

5.Ulteriori indicazioni in riferimento all’azienda produttrice (es. certificazioni, riconoscimenti, ecc.).

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Olio d’oliva, regole per la filiera

 

Dall’inserto Agrimed de Il Denaro di gennaio: Olio d’oliva, regole per la filiera.  La commercializzazione dei prodotti e le normative per chi vende e chi consuma
Attilio Montefusco e Milena Petriccione
L’ulivo (Olea europaea L.) è un albero leggendario, tipico del paesaggio del bacino del Mediterraneo, conosciuto fin dall’antichità per i suoi frutti (drupe), che sono utilizzati sia per l’estrazione dell’olio che per il consumo diretto nell’alimentazione. Era conosciuto già dagli Egizi come simbolo di pace e di concordia, di sapienza e di prosperità, è stato poi coltivato dai Greci e dai Romani che estraevano dai suoi frutti l’olio utilizzato per uso alimentare ma anche per uso aromatico e balsamico, oltre che per far ardere lampade e torce. La sua coltivazione iniziata nell’antichità grazie a diversi popoli e culture, si estende tra il 35° e il 45° parallelo di latitudine Nord, dove il clima temperato ben corrisponde alle sue esigenze colturali. L’ottenimento di un prodotto di qualità elevata è correlato al grado di maturazione delle olive al momento della raccolta ed influenza in particolar modo le caratteristiche organolettiche e il colore dell’olio. Il giusto grado di maturazione è rappresentato dall’invaiatura, cioè quando si ha il viraggio della buccia dal verde intenso ad una colorazione finale che varia, secondo la cultivar, al rosso porpora e al nero. Una raccolta molto precoce dà oli di colore verde intenso con note di amaro e piccante mentre una raccolta tardiva dà oli con maggiore acidità (e minor quantità di acidi polinsaturi) unita a un fruttato dolce. La qualità dell’olio è influenzata anche dallo stato sanitario dei frutti, dalle modalità di raccolta, di trasporto al frantoio e dalla molitura. L’olio d’oliva possiede qualità organolettiche e nutritive che gli permettono di avere un mercato ad un prezzo elevato, tenuto conto dei costi di produzione, rispetto alla maggior parte degli altri grassi vegetali. Vista questa situazione di mercato, sono state stabilite nuove norme di commercializzazione, contenenti in particolare norme specifiche in materia di etichettatura, complementari a quelle previste per i prodotti alimentari.
Caratteristiche
L’oliva è un frutto ricco d’acqua (circa il 50 per cento del suo peso) e l’estrazione dell’olio può avvenire con mezzi puramente naturali. ” sufficiente ridurre le olive ad una pasta con un’operazione di molitura e poi sottoporla a spremitura o a centrifugazione per ottenere la separazione dell’acqua e dell’olio dalle parti solide del frutto. Successivamente, poiché l’acqua e l’olio non sono miscibili, è facile separarli per centrifugazione. Gli oli vengono definiti “vergini” quando sono ottenuti dal frutto dell’olivo soltanto mediante processi meccanici o altri processi fisici, che non causano alterazioni del prodotto, e che non hanno subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione. In base alle normative vigenti (Reg. CE n. 2568/91) gli oli vergini vengono classificati in relazione a determinate caratteristiche chimiche, prima fra tutte l’acidità libera (espressa in grammi di acido oleico per 100 grammi di olio).
Gli oli di oliva vergini sono quelli commestibili per eccellenza e sono l’”olio extra vergine di oliva” e l’”olio di oliva vergine “, così definiti in base alla loro acidità ed in particolare il primo deve avere un’acidità massima dello 0,8 per cento ed il secondo del 2 per cento. Tutti gli oli con un’acidità superiore al 2 per cento non sono commestibili e vengono denominati “olio di oliva vergine lampante”. Tali oli possono essere raffinati ed utilizzati nella preparazione del cosiddetto “olio d’oliva”; quest’ultimo, infatti, viene ottenuto dalla miscelazione dell’olio di oliva vergine con olio d’oliva raffinato fermo restando l’ obbligo di esprimere un tenore di acidità libera inferiore all’1 per cento.
Durante il processo di molitura si forma la sansa composta dai residui del frutto dell’ulivo e dai frammenti del nocciolo, da cui si ricava nei sansifici l’”olio di sansa greggio” mediante il trattamento con solventi (sostanze chimiche). L’olio di sansa greggio e l’olio di sansa raffinato non sono commestibili a meno che quest’ultimo non venga mescolato con olio di oliva vergine ottenendo un olio con un tenore di acidità libera inferiore all’1 per cento (“olio di sansa di oliva”). Esso risulta commestibile ma ha una composizione e proprietà completamente differenti, ed è un olio di minor pregio e costo.
Commercializzazione
Gli oli d’oliva commestibili, destinati al consumatore, in base a quanto stabilito dal Reg. CE 1019/2002, devono essere messi in vendita esclusivamente preconfezionati in recipienti, della capacità massima di 5 litri provvisti di un sistema di chiusura che perda la sua integrità dopo la prima utilizzazione, anche se acquistati direttamente dal frantoio o presso la sede privata del piccolo produttore locale.
Gli oli destinati alla preparazione dei pasti nei ristoranti, ospedali, mense o altre collettività simili possono essere preconfezionati in recipienti di capacità massima non superiore a venticinque litri e non sono soggetti a sistemi di chiusura di garanzia.
L’etichettatura
Le indicazioni da riportare in etichetta sono previste sia dalla normativa generale in materia di etichettatura (D.Lgs. 109/92) presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari, emanato in attuazione dell’apposita direttiva comunitaria, sia da normative comunitarie che nazionali specifiche di settore.
Il consumatore deve essere informato e venire a conoscenza di alcune informazioni simultaneamente; infatti, tre delle indicazioni obbligatorie (denominazione del prodotto, quantità e termine minimo di conservazione) debbono apparire nello stesso campo visivo.
Sull’etichetta devono essere presenti altre formazioni facoltative delle lavorazioni “a freddo”, delle indicazioni relative all’acidità e di quelle concernenti le caratteristiche organolettiche. L’indicazione dell’origine geografica “Olio Italiano” potrà essere riportata solo nel caso in cui l’olio vergine, o extra vergine sia stato ottenuto in Italia da olive italiane. Nel caso di miscele, si potrà indicare l’origine della quota prevalente dell’olio a condizione che la stessa sia almeno pari al 75 per cento.
L’etichettatura nutrizionale per gli oli di oliva comporta l’elencazione, nell’ordine, delle indicazioni relative al valore energetico e alla quantità di proteine, di carboidrati e di grassi e che è obbligatorio far riferimento alla quantità di acidi grassi saturi, quando si indica la quantità di una delle seguenti sostanze: acidi grassi polinsaturi, acidi grassi monoinsaturi e colesterolo. Tali norme si sono rivelate insufficienti ad evitare che i consumatori siano indotti in errore sulle reali caratteristiche e l’origine di taluni prodotti; quindi, a partire dal 1° luglio 2009 è entrato in vigore il Regolamento (CE) n. 182/2009, che ha introdotto nuove norme di commercializzazione dell’olio di oliva. Le modalità applicative di questo regolamento sono state recepite dal Decreto del Mipaaf (Ministero Politiche Agricole, Ambientali e Forestali) del 10 novembre 2009. In linea con le norme di tracciabilità della legislazione alimentare europea, è stata introdotta l’etichettatura di origine obbligatoria, a tutela sia del consumatore che ha il diritto di sapere che cosa sta comprando sia dei produttori che devono essere in grado di impiegare metodi di produzione di qualità e, facendoli conoscere opportunamente, di utilizzarli come strumenti di marketing. Nella Comunità Europea, una parte significativa degli oli di oliva vergini ed extra vergini è costituita da miscele di oli originari di vari Stati membri e paesi terzi, con il presente regolamento è diventata obbligatoria l’indicazione dell’origine sull’etichetta delle suddette miscele. Tali disposizioni consentiranno di abolire le norme precedenti relative all’indicazione in etichetta dell’”origine predominante”, che risultavano complesse da applicare, difficili da controllare e potenzialmente fuorvianti.
Miscele europee
Nel caso di miscele di oli di oliva ottenuti da oli provenienti da Stati membri o paesi terzi, in etichetta dovrà essere apposta una delle seguenti diciture: “miscela di oli di oliva comunitari” oppure un riferimento allo Stato d’origine comunitario; “miscela di oli di oliva non comunitari” oppure un riferimento al Paese d’origine non comunitario; “miscela di oli di oliva comunitari e non comunitari”oppure un riferimento allo Stato d’origine comunitario e non comunitario.
Il consumatore leggendo con attenzione l’etichetta presente sulla confezione di olio sa esattamente cosa sta comprando ed ha la possibilità di distinguere il prodotto italiano dagli oli di oliva provenienti da altri Paesi comunitari e non comunitari.
Le indicazioni in etichetta
Voci obbligatorie
1.Denominazione di vendita
2.Indicazione “Olio di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici” (per l’olio extravergine);
“Olio di oliva ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”(per l’olio di oliva vergine).
3.Riferimenti al responsabile commerciale (nome e/o marchio, indirizzo).
4.Sede dello stabilimento di confezionamento con codice alfanumerico identificativo della provincia.
5.Indicazione dell’origine, secondo quanto stabilito dal Reg. Ce 182/09.
6.Quantità.
7.Termine minimo di conservazione indicato almeno con mese/anno.
8.Lotto (facoltativo se il termine minimo di conservazione è riportato con l’indicazione del gg/mm/aaaa).
9.Modalità di conservazione (es. Conservare al riparo dalla luce)
Voci facoltative
1.Indicazioni relative al metodo estrattivo quali “prima spremitura a freddo” oppure “estratto a freddo”, secondo quanto stabilito dal Reg. CE 1019/02.
2.Indicazioni relative alla caratteristiche organolettiche.
3.Indicazioni relative all’acidità massima, ma solo se accompagnate dalle indicazioni (riportate in caratteri della stessa grandezza) relative all’indice dei perossidi, del tenore di cere e dell’assorbimento ultravioletto.
4.Indicazioni relative agli abbinamenti gastronomici del prodotto.
5.Ulteriori indicazioni in riferimento all’azienda produttrice (es. certificazioni, riconoscimenti, ecc.).olio

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Dodici stelle per i prodotti biologici: un nuovo logo per gli alimenti di qualità nell’Ue

 

Dall’inserto Agrimbandiera eued di aprile: Dodici stelle per i prodotti biologici. Dal primo luglio un nuovo logo identificherà gli alimenti di qualità nell’Ue, di Attilio Montefusco e Milena Petriccione
I consumatori di tutta Europa stanno diventando sempre più consapevoli dei benefici dell’agricoltura biologica come sistema agricolo sostenibile.
L’Italia è leader del biologico in Europa, sia per numero di operatori che per superfici agricole convertite.
Il settore ha attraversato indenne la crisi, infatti i dati degli ultimi anni parlano addirittura di una crescita nei consumi, aumentati del 7,4 per cento solo nel primo semestre 2009 (Dati Ismea). Un fatturato di circa tre miliardi di euro con ben 45 mila aziende agricole biologiche e oltre un milione di ettari di superficie coltivata.
In Campania, presso l’assessorato all’Agricoltura e alle Attività Produttive nell’apposito Elenco Operatori Agricoltura Biologica in Campania (Erab), sono registrati, a tutto dicembre 2007, 1.488 operatori suddivisi come nella tabella in pagina.
La produzione biologica
Nell’ultimo ventennio, l’offerta di prodotti agricoli biologici è fortemente aumentata, nella maggior parte degli Stati dell’Unione Europea in quanto un numero sempre crescente di cittadini-consumatori scelgono prodotti bio.
Un ulteriore stimolo per il mercato dei prodotti biologici è dato dalle recenti riforme della politica agricola comune, che ha posto l’accento sull’orientamento al mercato e sull’offerta di prodotti di qualità che rispecchiano le esigenze dei consumatori (…).
Il nuovo Reg.CE n.834/2007 ha definito la produzione biologica come un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali.
Il metodo di produzione biologico esplica pertanto una duplice funzione sociale, provvedendo da un lato a un mercato specifico che risponde alla domanda di prodotti biologici dei consumatori e, dall’altro, fornendo beni pubblici che contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali e allo sviluppo rurale.
Nell’ambito della produzione biologica rientrano l’agricoltura, l’allevamento e le fasi di trasformazione dei prodotti ottenuti dalla produzione primaria.
L’agricoltura biologica dovrebbe fare affidamento prevalentemente sulle risorse rinnovabili nell’ambito di sistemi agricoli organizzati a livello locale.
Al fine di limitare al minimo l’uso di risorse non rinnovabili, i rifiuti e i sottoprodotti di origine animale e vegetale dovrebbero essere riciclati per restituire gli elementi nutritivi alla terra. La produzione biologica vegetale dovrebbe contribuire a mantenere e a potenziare la fertilità del suolo nonché a prevenirne l’erosione (…)
Gli elementi essenziali del sistema di gestione della produzione biologica vegetale sono la gestione della fertilità del suolo, la scelta delle specie e delle varietà, la rotazione pluriennale delle colture, il riciclaggio delle materie organiche e le tecniche colturali.
Si dovrebbe ricorrere all’aggiunta di concimi, ammendanti e prodotti fitosanitari soltanto se tali prodotti sono compatibili con gli obiettivi e i principi dell’agricoltura biologica.
La produzione animale è una componente essenziale dell’organizzazione della produzione agricola nelle aziende biologiche?(…)
I prodotti biologici trasformati dovrebbero essere ottenuti mediante procedimenti atti a garantire la persistenza dell’integrità biologica e delle qualità essenziali del prodotto in tutte le fasi della catena di produzione.
Inoltre in tali prodotti la presenza di Ogm è limitata per quanto possibile alla presenza accidentale e tecnicamente inevitabile durante la produzione.
L’agricoltura biologica è sottoposta a controlli che riguardano tutta la filiera produttiva. Nel biologico esiste un Sistema di Controllo uniforme in tutta l’Ue, creato nel tempo da appositi regolamenti comunitari che si rivolgono sia alle coltivazioni vegetali sia all’allevamento degli animali, senza trascurare l’agroalimentare. Tali controlli possono essere effettuati da tecnici di strutture pubbliche o da tecnici di enti accreditati ai sensi della norma EN 45011.
Nel 2008, oltre al succitato regolamento del Consiglio, sono stati adottati due nuovi regolamenti della Commissione (Regg. CE n. 889/2008 e n. 1235/2008) che disciplinano la produzione biologica, l’importazione e la distribuzione di prodotti biologici, nonché la loro etichettatura entrati in vigore il 1 gennaio 2009. Alcune delle nuove disposizioni riguardanti l’etichettatura entreranno in vigore dal 1° luglio 2010.
Nel Regolamento della Commissione (CE) n. 889/2008, e successive modifiche ed integrazioni, sono disciplinati tutti i livelli di produzione vegetale ed animale, dalla coltivazione del terreno e dall’allevamento di animali alla trasformazione, alla distribuzione e al controllo degli alimenti biologici. Esso riporta numerosi dettagli tecnici e rappresenta, per la maggior parte, un ampliamento del Regolamento originale sul settore biologico.
In aggiunta alla normativa Ue in materia di agricoltura e produzione biologica, gli operatori che lavorano nel settore dell’agricoltura e della trasformazione biologica devono rispettare le regole generalmente applicabili alla produzione e alla trasformazione dei prodotti agricoli.
Ciò significa che in generale tutte le norme generalmente applicabili in materia di regolamentazione di produzione, trasformazione, commercializzazione, etichettatura e controllo dei prodotti agricoli si applicano anche ai cibi biologici.
Inoltre il Regolamento prevede che dal 1° luglio 2010 sull’etichetta, sotto nello spazio visivo del logo comunitario, dovrà essere inserito il numero di codice dell’autorità o dell’organismo di controllo e il luogo di origine delle materie prime agricole.
Il codice inizia con la sigla identificativa dello Stato membro o del paese terzo, secondo i codici paese di due lettere di cui alla norma internazionale ISO 3166 (per l’Italia IT), seguono un codice di tre lettere che identifica il metodo di produzione come “bio”, che stabilisce un nesso con il metodo di produzione biologica ed numero di riferimento, composto al massimo di tre cifre, stabilito dalla Commissione o Stato Membro per gli “organismi di controllo” riconosciuti.
In pratica i prodotti ottenuti, confezionati ed etichettati anteriormente al 1° luglio 2010, a norma del Regolamento (CEE) n. 2092/91 e del Regolamento (CE) n. 834/2007, potranno continuare ad essere commercializzati, con termini che fanno riferimento al metodo di produzione biologico, fino ad esaurimento delle scorte
Relativamente allo smaltimento delle scorte, il limite temporale massimo previsto arriva al 1° gennaio 2012. Circa i materiali da imballaggio prodotti a norma dei Regolamenti (CEE) n. 2092/91 è (CE) n. 834/2007, potranno continuare ad essere utilizzati per i prodotti commercializzati con termini che fanno riferimento al metodo di produzione biologico, fino al 1° gennaio 2012, a condizione che i prodotti siano conformi al regolamento (CE) n. 834/2007.
Nuovo marchio
Al termine del concorso bandito dall’Ue, circa 500 milioni di cittadini, hanno scelto il nuovo logo che contrassegnerà i prodotti biologici confezionati dal prossimo primo luglio.
Il logo vincente “Euro-leaf” o Eurofoglia è la raffigurazione stilizzata di una foglia delimitata da dodici stelle bianche, simbolo dell’Ue, su uno sfondo verde con al centro una cometa.
L’utilizzo del logo in etichetta, diventerà obbligatorio assieme al luogo di produzione ed alle altre indicazioni menzionate, per i prodotti biologici dei Paesi Ue e facoltativo per alimenti provenienti da paesi terzi. Esso indicherà che i prodotti sono stati ottenuti in conformità al Regolamento Ue sull’agricoltura biologica e pertanto promuove la fiducia dei consumatori riguardo all’origine e alla qualità dei loro alimenti e bevande.
Il vantaggio maggiore, derivante dall’applicazione del logo biologico Ue, sarà che i consumatori negli Stati Membri potranno facilmente identificare i prodotti biologici, indipendentemente dalla loro origine.
Il logo non può essere modificato né combinato con altri elementi, ma è possibile solo affiancarvi altri marchi nazionali o privati già esistenti. Al fine di migliorare l’identificazione di tutti i prodotti oltre a questo nuovo simbolo sono previsti altri elementi quali il numero di codice standardizzato dell’organismo ed il luogo di produzione delle materie prime agricole che entrano nella composizione del prodotto. Le produzioni biologiche vengono certificate da Organismi di Controllo autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, le analisi sui prodotti in commercio condotte da laboratori accreditati e i controlli pubblici effettuati mediante ispezioni direttamente in azienda, per verificare che si rispettino i requisiti legali. Solo rispettando tali requisiti i prodotti possono essere venduti come biologici e guadagnare il diritto di portare il logo Euro-leaf.

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Regole e controlli dalla UE per la pizza certificata

 

La UE ha pubblicpizza018ato sulla «Gazzetta Ufficiale» Ue del 5 febbraio scorso un capitolato (regolamento CE 97/2010), a questo si è aggiunto il decreto delle Politiche agricole (in «Gazzetta Ufficiale» n. 38 del 16 febbraio) per dettare le regole sulla pizza, quella certificata. In Italia ci sono ventiduemila pizzerie e se vorranno esporre il marchio STG - specialità tradizionale garantita – dovranno adeguarsi.

Emergono però delle problematiche. Alcune specifiche sono chiare e scendono nel dettaglio altre più blande. Il forno deve essere a legna e la cottura a 485°. Non viene specificata la provenianza del pomodoro o della mozzarella, ad esempio. Si dice però che la mozzarella fusa in superficie, aglio e basilico non bruciati ma profumati, pomodoro denso e consistente, cornicione rialzato di 1-2 centimentri e dorato, spessore al centro tra 0,36 a 0,44 centimetri.
E ancora va verificata la temperatura degli ingredienti all’uscita dal forno, che per la pasta deve essere fra i 60 e i 65°, per il pomodoro fra i 75-80°, l’olio fra 75-85° e la mozzarella fra i 65-70°.

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Porta a tavola la sicurezza

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Per informazioni rivolgersi a:

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L’Iter degli scarti all’humus

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Il compostaggio è un processo naturale ove il rifiuto organico si trasforma in terriccio fertile (il compost), da parte di microrganismi aerobi. La raccolta differenziata delle frazioni compostabili riveste un ruolo trainante per lo sviluppo delle raccolte degli altri materiali (metalli, vetro, plastica eccetera). Infatti, questi, privi dell’organico sono “puliti” e più facilmente riciclabili. Certo, come per tutte le frazioni riciclabili, raccogliere non basta, occorre che accanto alla raccolta siano messi in rete gli impianti per la trasformazione industriale. Nel caso dell’umido, si tratta dei compostatori, i quali realizzino le tre fasi del compostaggio, ossia la decomposizione, la trasformazione e la maturazione. Nei primi due mesi (fase di decomposizione) si svolge l’attività dei batteri termofili del terreno che attaccano e sminuzzano le sostanze organiche sviluppando calore. La temperatura sale fino a oltre 60°C e purifica la massa dai microrganismi dannosi e dagli agenti patogeni presenti negli scarti. Poi, fino al quarto mese (fase di trsformazione) la temperatura scende fino a 25°C grazie all’attività di batteri e funghi decompositori. Il volume diminuisce perché evapora l’acqua contenuta nel rifiuto organico. Infine (maturazione), tra il quarto e l’ottavo mese il ciclo si conclude. La temperatura scende ancora e piccoli invertebrati (lombrichi, lumache, centopiedi e alghe azzurre), completano la maturazione del compost riducendolo in humus. Se le Regioni e gli enti locali monitorassero e incoraggiassero davvero il compostaggio, con una pratica regolare di raccolta differenziata e di compostatori, i Comuni (e di conseguenza i cittadini) avrebbero un risparmio pari al prezzo del mancato smaltimento in discarica dei rifiuti organici.

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Uova: lettura dell’etichetta

 

 

 

 

 

 

 

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Dal sito della Regione Campania – Assessorato all’Agricoltura viene messo in evidenza l’esatta etichettatutura di un  prodotto alimentare moto utilizzato come  le uova.
Le uova sono classificate nelle seguenti categorie di qualità  (categoria A o «uova fresche» e categoria B) e peso (da XL a S).
Gli imballaggi delle uova della categoria A e della categoria B devono presentare sulla superficie esterna il codice di identificazione del centro di imballaggio e il codice per il metodo di allevamento.
Altre diciture facoltative sono l’origine delle uova ed il tipo di alimentazione.
Inoltre l a vigente normativa comunitaria e nazionale in tema di commercializzazione delle uova prevede che i centri di imballaggio per poter operare devono essere preventivamente riconosciuti dalla competente autorità sanitaria – ai sensi dei regolamenti (CE) n. 853/2004 e n. 854/2004 – e successivamente autorizzati dalle Regioni. Per il rilascio dell’autorizzazione i centri devono disporre di locali e dell’attrezzatura tecnica appropriati che consentono la classificazione delle uova per categoria di qualità e di peso. I centri di imballaggio che lavorano esclusivamente per l’industria alimentare e non alimentare, tuttavia, non sono tenuti a disporre dell’attrezzatura tecnica necessaria per la classificazione delle uova in base al peso. Le caratteristiche delle attrezzatute tecniche devono essere idonee a garantire un’adeguata manipolazione delle uova.
La Giunta Regionale della Campania, con la deliberazione n. 738 del 30 Aprile 2008 (pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 22 del 3 Giugno 2008) ad oggetto Approvazione delle procedure regionali per l’autorizzazione, la revoca e/o la sospensione dei centri di imballaggio uova ha disciplinato gli adempimenti nella materia di cui trattasi affidati alle Regioni, ai sensi dell’art. 8 della legge 25 febbraio 2008, n. 34 e dell’art. 4 del Decreto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali 11 Dicembre 2009 emanato di concerto con il Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.
L’ elenco dei centri di imballaggio uova autorizzati sul territorio nazionale  sono presenti sul sito : www.politicheagricole.gov.it nella sezione “Settori Agroalimentari > Zootecnico > Uova >
Per specifiche e  maggiori informazioni si rimanda al sito: http://www.agricoltura.regione.campania.it/uova/uova-index.html

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Norma UNI industrie alimentari “Sistemi di monitoraggio degli insetti”

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Frutto del lavoro di esperti e ricercatori in materia di igiene e di sicurezza alimentare, è stata recentemente elaborata dalla commissione tecnica “Agroalimentare” la nuova norma UNI 11381:2010 “Ambienti delle industrie alimentari – Sistemi di monitoraggio degli insetti”, che specifica un metodo per progettare e realizzare sistemi di monitoraggio di insetti negli ambienti delle industrie alimentari, per intraprendere azioni e strategie di lotta agli insetti

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