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Penalità «231» a misura di dipendente

Penalità «231» a misura di dipendente

Responsabilità dell’ente più stringente se il reato è commesso da una figura apicale all’interno della società, che non ha adottato un adeguato modello organizzativo. La Corte di cassazione, con la sentenza 54640, respinge il ricorso di una Spa, coinvolta nel reato di tentata corruzione commesso dal responsabile di un suo centro operativo, che lavorava a stretto contatto con la Pa, elargendo delle somme a pubblici funzionari per mantenere “buoni rapporti”. Somme inserite tra le spese di rappresentanza. La Cassazione conferma la responsabilità dell’azienda, in base all’articolo 5 del Dlgs 231 del 2001, ricordando che per l’ente scatta il “coinvolgimento” per i reati commessi nel suo interesse o vantaggio da chi riveste una posizione apicale o da persone sottoposte alla vigilanza dei vertici. Con una distinzione. Nel caso di figure apicali (articolo 6) l’ente per evitare la responsabilità deve dimostrare di aver adottato e attuato dei modelli organizzativi, utili a prevenire reati come quelli commessi nello specifico, in assenza dei quali scatta la responsabilità. Inoltre l’ente deve provare di aver affidato compiti di vigilanza sull’osservanza dei modelli a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri. E solo la prova che il modello predisposto è stato eluso in modo fraudolento salva la società dalla condanna, agli effetti della 231.

Nel caso di reato commesso da un soggetto non in posizione apicale (articolo 7) l’ente è responsabile se il reato è reso possibile da una carente vigilanza, esclusa però dall’adozione dell’attuazione del modello organizzativo: questo basta a considerare il reato al di fuori della sfera di operatività e interferenza dell’ente.

Chiarito dunque che per allontanare la sanzione serve la prova di aver predisposto modelli efficaci, i giudici sottolineano come i rischi di condotte illecite vadano prevenuti anche in base al tipo di impresa. Nello specifico le cautele sono mancate, mentre erano più che mai opportune in una società che si rapportava con la pubblica amministrazione e dunque non era affatto estranea al rischio corruttivo.

In più le condotte “disinvolte” dell’imputato che intratteneva rapporti con pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio erano note ai vertici. E l’azione disciplinare adottata nei suoi confronti non dimostra il previo esercizio di un’effettiva azione di direzione e controllo, basata su chiare regole cautelari.

AdA

fonte Sole24Ore 337/18 PM

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