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Qualità dei fornitori dei servizi di welfare. Dall'UNI una Prassi di Riferimento

Qualità dei fornitori dei servizi di welfare. Dall'UNI una Prassi di Riferimento

Pubblicata la Prassi di Riferimento UNI/PdR 58:2019 in materia welfare aziendale; il documento è stato elaborato dal Tavolo "Servizi alla persona nel welfare aziendale”.
L’obiettivo della Prassi di Riferimento è quello di fornire delle linee guida sui requisiti per la qualifica dei fornitori dei servizi alla persona offerti ai lavoratori dai datori di lavoro attraverso piani di welfare aziendale gestiti direttamente dal datore di lavoro o mediante provider di welfare aziendale, con o senza il supporto di piattaforme informatiche.
Nel documento sono individuati alcuni esempi di servizi di welfare aziendale, classificati secondo cinque diversi ambiti di attività riconducibili alla sfera familiare, del benessere e della salute, della qualità della vita, dell’abitazione e di intermediazione (servizi finanziari/assicurativi/assistenza fiscale, ecc.).
Sono inoltre definiti i requisiti essenziali che i fornitori dei servizi alla persona devono avere sia in termini di requisiti giuridico-amministrativo che economico-finanziari, ed infine sono individuate le autorizzazioni amministrative e le procedure essenziali per il rilevamento della qualità dei servizi offerti, nonché gli elementi tecnico-professionali per l’erogazione del servizio stesso.
Si ricorda che le prassi di riferimento sono documenti che introducono prescrizioni tecniche o modelli applicativi settoriali di norme tecniche, elaborati sulla base di un rapido processo di condivisione ristretta ai soli autori, e costituiscono una tipologia di documento para-normativo nazionale che va nella direzione auspicata di trasferimento dell’innovazione e di preparazione dei contesti di sviluppo per le future attività di normazione, fornendo una risposta tempestiva ai mercati in cambiamento.

Scarica la Prassi

mb
Fonte UNI

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Il welfare annulla la tassazione

Welfare aziendaleCon la pubblicazione del decreto ministeriale sono diventate operative anche le nuove regole che agevolano l’accesso dei lavoratori al welfare aziendale. Per espressa previsione dell’articolo 1, comma 184, della legge 208/2015, le misure di welfare non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente anche nell’eventualità in cui le misure stesse siano fruite, per scelta del lavoratore, in sostituzione, in tutto o in parte, delle somme spettanti a titolo di premio di rendimento, né sono in tal caso soggette all’imposta sostitutiva del 10 per cento (si veda articolo a fianco).

L’articolo 6 del decreto, inoltre, disciplina i voucher ossia i documenti di legittimazione che potranno servire per l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi indicati all’articolo 51 del Tuir ed esclusi dal reddito di lavoro dipendente. La previsione, introdotta dal comma 190 della legge di Stabilità 2016, apre nuove possibilità anche per i datori di lavoro di minori dimensioni.

Inoltre, con la legge di Stabilità 2016 si è inteso estendere le somme e i valori che non concorrono a determinare il reddito di lavoro dipendente stabilite nell’articolo 51 lettere f) ed f-bis) del Tuir, aggiungendo allo stesso articolo 51 la lettera f-ter. In particolare, la modifica normativa stabilisce che non concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente:

  • l’utilizzazione delle opere e dei servizi offerti riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità individuate dal comma 1 dell’articolo 100;
  • le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi ed invernali, per le borse di studio a favore dei medesimi familiari e per la fruizione di servizi di assistenza agli anziani ed ai soggetti non autosufficienti.

Qualora si ricorra ai voucher, sia cartacei che elettronici, per la fruizione dei servizi di welfare vanno però rispettati i requisiti tassativi previsti dall’articolo 6 del decreto interministeriale:

  • devono essere nominativi;
  • non possono essere utilizzati da persona diversa dal titolare del beneficio;
  • non possono essere monetizzati o ceduti a terzi;
  • devono dare diritto a un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale senza integrazioni a carico del titolare. Ciò non vale se il valore dei beni e dei servizi prestati non supera 258,23 euro complessivamente nel periodo di imposta.

Opportunamente il decreto interministeriale mantiene ferma l’attuale disciplina dei servizi sostitutivi di mensa. Al di là della possibile scelta del lavoratore delle misure di welfare predisposte dall’azienda in luogo del premio di rendimento spettante (ovviamente nei limiti dello stesso) è opportuno evidenziare che la modifica della lettera f) del comma 2 dell’articolo 51 del Tuir consente, tramite il ricorso alla contrattazione collettiva, di superare la limitazione derivante dall’articolo 100 dello stesso Tuir che prevede la deducibilità dal reddito d’impresa per un ammontare non superiore al 5 per mille della spesa per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi, nel caso in cui l’azienda sostenga volontariamente le spese per erogare i suddetti servizi alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti.

Nessun limite di detraibilità dal reddito di impresa può, invece, porsi quando l’erogazione derivi dalla contrattazione collettiva, ancor più quando l’erogazione vada a sostituire, per scelta del lavoratore, il premio di produttività.

AdA

fonte Sole24Ore 134/16 AC e MRG

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Il business del benessere aziendale

welfare aziendaleCresce la sensibilità al welfare nella contrattazione di secondo livello. E le imprese, nella scelta dei servizi da erogare al personale, appaiono sempre più propense a coinvolgere i dipendenti. Ma cosa cercano le aziende che intraprendono questa strada? La risposta è molteplice: c'è chi punta ad aumentare il benessere organizzativo e chi a migliorare la relazione tra azienda e dipendenti, c'è chi al tempo stesso punta a fidelizzare i lavoratori.

Lo rivelano tre recenti indagini che sono andate a scandagliare il complesso e, per certi versi, ancora inesplorato mondo del cosiddetto “welfare 2.0”. Il Rapporto Welfare 2015 di OD&M Consulting, società specializzata di Hr consulting di Gi Group, sul versante B2B ha per esempio ascoltato la voce di un campione di 112 imprese e, su quello B2C, più di 300 addetti appartenenti a diverse tipologie di aziende.

Per scoprire che le imprese che dichiarano di aver inserito un piano welfare nella contrattazione integrativa di secondo livello risultano in crescita (38,2% del campione) rispetto al dato del 2014 (29 per cento). Sulla scelta dei servizi fornire, poi, circa otto aziende su dieci hanno tenuto conto dei bisogni dei dipendenti attraverso una survey, un focus group o un'analisi sociodemografica. La scelta dei servizi è comunque stata effettuata anche considerando l'opportunità di contenimento dei costi, attraverso la preferenza di servizi che possono essere defiscalizzati. Quanto alla tipologia dei servizi implementati dalla maggior parte delle imprese, le aree spaziano dalla ristorazione (89,1% delle aziende), alla cosiddetta “gestione del tempo” (servizi come banca ore, flessibilità in entrata e uscita, job sharing e telelavoro, scelti dal 78,2% del campione), passando per assistenza sanitaria e previdenza (74,5% delle aziende). Più della metà delle aziende che hanno implementato il proprio piano di welfare ha colto poi l'importanza di “differenziare”, creando panieri di servizi per gruppi di popolazioni omogenee. La percentuale di aziende che ha scelto di offrire panieri differenziati è in crescita rispetto all'anno precedente. Il 52% del campione lascia infatti a tutti gli addetti la possibilità di scelta dei servizi più adatti alle proprie esigenze, mentre negli altri casi la possibilità di scelta viene offerta solo ad alcuni gruppi della popolazione aziendale. I dati in questione vanno a integrarsi con quelli di un'altra recente ricerca, realizzata da Luca Pesenti, docente di Organizzazioni sociali e welfare plurale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e promossa da Welfare Company, provider di servizi di welfare aziendale di QUI! Group. Uno studio secondo il quale le aziende che hanno implementato da alcuni anni i piani di welfare, hanno aumentato il numero dei servizi di welfare aziendale (il 52% del campione contempla oltre sei misure a disposizione dei Dipendenti e delle loro famiglie). Sulla scelta dei servizi da erogare interviene anche uno studio che Asam, Associazione per gli Studi Aziendali e Manageriali dell'Università Cattolica di Milano, ha condotto su un campione di 231 imprese in occasione della sesta edizione del Premio Assiteca “La gestione del rischio nelle imprese italiane”, dedicata a fine anno scorso proprio al tema del welfare aziendale (si veda pezzo a fianco).

Fra gli “oggetti” rilevanti del welfare, e dunque fra le aree agevolate, il 73% del consenso degli intervistati va nei confronti di un “pacchetto” composto da sanità, food, famiglia e assicurativo-bancario. Ancillari (tra il 5% e il 7%) risultano gli altri quattro oggetti: wellness, assistenza amministrativa, mobilità, tempo libero. Quali sono state le principali azioni intraprese dalle aziende del campione per realizzare le politiche di welfare? Ai primi posti sono state votate (al 17%) la somministrazione di un questionario per individuare i bisogni e le aspettative dei lavoratori e la proposta di soluzioni flessibili e diversificate per il miglioramento personale, familiare e della sicurezza futura. Seguono subito dopo altre tre azioni (tra il 15% e il 13%): confronto e condivisione con aziende appartenenti a medesime organizzazioni di settore; individuazione dei bisogni primari delle famiglie di operai e impiegati per integrare con politiche di welfare aziendale i salari più bassi; creazione di opportunità per maggiori sinergie tra management e impiegati. Pochi agiscono sia sulla richiesta di una consulenza esterna (10%) che di una valutazione dell'impatto e dei feedback delle politiche di welfare aziendale già attuate (11%). Percorsi di questo tipo sarebbero stati agevolati, tra l'altro, da un budget dedicato e da una metrica del Roi per il welfare.

In proposito le aziende del campione hanno risposto nel 69% dei casi di non avere un budget predisposto al welfare aziendale, nel 31% di averlo. Quanto alle aziende dotate di budget, l'ammontare disponibile è per il 44% tra 10 e 50mila euro, per il 20% tra 0 e 10mila euro, quindi il 64% ha un intervallo di spesa che va da 0 a 50mila euro, il 15% oltre i 250mila euro, il 13% tra i 100 e i 250mila euro e solo l'8% tra i 50 e i 100mila euro. Pochissimi (8%) misurano il Roi. Eppure è tra gli strumenti che offrono il feedback migliore. Una ricerca interessante, questa di Asam, anche perché si sofferma sul contesto che incontra chi intraprende la strada del welfare aziendale. La situazione è percepita per il 48% del campione come “ostile” (così così o pessima) e per il restante 52% “amichevole” (discreta, buona e propositiva). I termini fondamentali che spiegano queste percezioni e che si traggono dall'analisi dei “perché” sono: cultura, fisco, crisi. Mentre le percezioni positive/amichevoli si fondano su parole chiave come diffusione transizionale (del tipo: “siamo sulla buona strada”), consapevolezza (propensione alla valorizzazione del capitale umano), comportamenti imitativi (conoscenza e apprezzamento delle eccellenze).

AdA

fonte Sole24Ore 47/16 F.P.

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Legge di Stabilità: deducibilità ampia per i piani di welfare aziendale

welfareaziendaleBenefit non assoggettati a tassazione né a contribuzione in capo al dipendente, anche se concessi in base a un contratto, accordo o regolamento aziendale (ma a determinate condizioni). Relative spese sostenute dal datore di lavoro completamente deducibili dal reddito di impresa se le opere e i servizi offerti ai lavoratori derivano da un vincolo contrattuale; parzialmente deducibili, invece, se erogati volontariamente. In attesa di chiarimenti ufficiali, questo sembra essere il quadro normativo in tema di welfare aziendale alla luce delle modifiche apportate dalla legge di Stabilità 2016.

L’articolo 51, comma 2, lettera f, del Tuir, mediante rinvio all’articolo 100, comma 1 dello stesso Testo unico, esclude dalla formazione del reddito di lavoro dipendente l’utilizzazione delle opere e dei servizi concessi ai lavoratori, a patto che gli stessi abbiano finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto. Con la legge di Stabilità 2016 sono stati esplicitamente inclusi anche i servizi di educazione offerti dalle scuole dell’infanzia, i centri estivi o invernali per i bambini, nonché l’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti (si veda «Il Sole 24 Ore» del 20 gennaio).

Per fruire dell’agevolazione è inoltre necessario che i benefit siano messi a disposizione della generalità dei dipendenti o a categorie omogenee di essi, ma ne possono beneficiare anche i familiari individuati dall’articolo 12 del Tuir, anche se fiscalmente non a carico (circolare 326/1997). Anche il previgente articolo 51, comma 2, lettera f, del Tuir consentiva l’esenzione fiscale e contributiva per il dipendente alle condizioni poste dall’articolo 100, comma 1, ma per il combinato disposto delle due previsioni si richiedeva che la spesa relativa alle opere e servizi fosse sostenuta volontariamente e non in adempimento di un vincolo contrattuale. Peraltro, il rispetto dell’articolo 100 condizionava il trattamento fiscale per l’impresa, per cui i costi sostenuti dal datore di lavoro erano deducibili nei limiti del 5 per mille delle spese per lavoro dipendente.

La nuova formulazione dell’articolo 51, comma 2, lettera f, in vigore dal 1° gennaio 2016, invece, consente l’esonero fiscale anche qualora l’utilizzazione dei benefit avvenga in base a un vincolo contrattuale. In questo caso si applica la disciplina generale definita dall’articolo 95 del Tuir e i costi sostenuti a monte sarebbero interamente deducibili dal reddito di impresa, visto che l’articolo 95 non pone specifiche limitazioni.

Alla luce di tali modifiche per i benefit concordati viene meno quella simmetria normativa perfetta che in precedenza legava il beneficio fiscale del dipendente alla limitata deducibilità dei costi per l’impresa. Il disallineamento tra le due disposizioni a nostro avviso è possibile, non essendo presente – nell’attuale impianto normativo – un principio generale di correlazione tra deducibilità delle spese da parte del soggetto erogante e tassabilità del reddito in capo al percettore. Questa pare anche essere la posizione del ministero dell’Economia espressa nella circolare 188/1998: «non esiste una disposizione di legge, se non per quanto riguarda i fabbricati, che stabilisca che è deducibile nella determinazione del reddito d’impresa soltanto ciò che costituisce reddito per il dipendente».

AdA

fonte Sole24Ore 42/16 S.S.

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18 febbraio 2015. Seminario "Il welfare aziendale tra sussidiarietà ed occupabilità"

welfareMercoledì 18 febbraio 2015, presso la Sala Convegni – DEMM dell’Università del Sannio, si è tenuto il seminario sul tema “Il welfare aziendale tra sussidiarietà ed occupabilità”.

L’iniziativa è promossa dal Tavolo della Responsabilità composto da Arcidiocesi di Benevento (Ufficio diocesano per i Problemi sociali e il Lavoro), Università del Sannio, CISL IrpiniaSannio, Confindustria e Coldiretti.

Saluti di Giuseppe Marotta, Direttore DEMM dell’Università del Sannio e di Ettore Rossi, Direttore dell’Ufficio per i Problemi sociali e Lavoro dell’Arcidiocesi di Benevento.

Ha introdotto e coordinato i lavori,  Gaetano Natullo, docente di Diritto del Lavoro dell’Università del Sannio; sono seguiti poi gli interventi di Pasquale Lampugnale Presidente Giovani Imprenditori di Confindustria Benevento, Uliano Stendardi della CISL Nazionale – Dipartimento Industria, Ferdinando Flagiello del Consorzio Promos Ricerche (Sportello Responsabilità Sociale), Paolo Gallaro del Progetto Policoro - Diocesi di Benevento, Maria Fiorinelli della Laer Srl e Vincenzo Todisco della Agusta Westland SpA.

AdA

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