Le nuove istanze di Autorizzazioni Integrate Ambientali (AIA) rischiano di rallentare dopo la bocciatura del decreto con le istruzioni per le relazioni di riferimento. Il Tar Lazio, con la sentenza 11452 pronunciata lo scorso 20 novembre ha infatti annullato il decreto del ministero dell’Ambiente (Dm 272/2014) che dettava le modalità di redazione della relazione di riferimento, ossia il documento che i gestori degli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale devono predisporre prima di mettere in esercizio l’impianto che utilizza sostanze pericolose o in fase antecedente al primo aggiornamento dell’Aia.
Lo strumento della relazione di riferimento nasce, prima a livello comunitario e poi nazionale, per assicurare l’assenza di contaminazioni nel suolo e nelle acque sotterranee. È un documento di raffronto tra la situazione esistente nel momento in cui si avvia l’attività di uno stabilimento (o quando essa è già pienamente operativa) e la situazione esistente al momento della dismissione dell’impianto.
La relazione di riferimento, quindi, fotografa lo stato del sottosuolo in un dato momento storico e, nelle intenzioni del legislatore, questa fotografia servirà quando l’installazione produttiva smetterà di operare. In quel momento, infatti, graverà sul gestore l’obbligo di verificare se le operazioni industriali hanno causato un deterioramento delle condizioni del sottosuolo. Per la verifica, il parametro di riferimento sarà costituito, appunto, dalla situazione fotografata (anni prima) dalla relazione di riferimento.
Va da sé che se il raffronto determina un peggioramento della qualità di suolo e acque, il gestore deve compiere le attività necessarie per «rimediare a tale inquinamento». Scattano così molte questioni interpretative sull’intreccio logico e giuridico che sussiste tra obbligo di rimessa in pristino che nasce dal raffronto con la relazione di riferimento e l’obbligo di bonifica previsto dal Codice dell’ambiente. Ma la sentenza del Tar Lazio pone un problema diverso, più imminente e pratico: come redigere la relazione di riferimento ora che il decreto ministeriale 272/2014 è stato annullato.
L’obbligo di redigere la relazione di riferimento è un adempimento abbastanza recente: è stato introdotto nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 46/2014, ossia il decreto che ha sostanzialmente riscritto la sezione del Codice dell’ambiente dedicata agli impianti in Aia, che come molte norme nazionali, trova la sua genesi nell’ordinamento comunitario (e, in particolare, nella direttiva 2010/75/Ue).
Il Codice dell’ambiente ha, quindi, indicato i casi in cui l’obbligo della relazione scatta ma ha anche stabilito che le modalità per predisporre la relazione di riferimento, con particolare riguardo alle metodiche di indagine ed alle sostanze pericolose da ricercare per gli impianti ricadenti in Aia, fossero disciplinate da un decreto del ministro dell’Ambiente.
In virtù di questa delega (contenuta nel comma 9-sexies dell’articolo 29-sexies del Codice dell’ambiente) il ministero aveva varato il Dm 272/2014 che completava il quadro normativo sulla relazione con questi obiettivi:
- introduzione di una verifica preliminare per la sussistenza dell’obbligo della relazione;
- definizione dei tempi per la presentazione della relazione;
- indicazione dei contenuti minimi e dei criteri per la caratterizzazione di suolo e acque.
Il Tar Lazio ha annullato il decreto ritenendo che sia stato approvato con un procedimento di formazione non corretto: secondo i giudici avrebbe dovuto essere sottoposto al Consiglio di Stato, alla Corte dei Conti e pubblicato per intero. Ora, in assenza del Dm 272, e fino a quando il ministero dell’Ambiente non provvederà con un nuovo decreto, restano da trovare nuove basi e metodologie per predisporre il documento.
Un contributo ai tecnici che redigeranno la relazione potrà sicuramente venire dalle linee guida della Commissione europea 2014/C 136/01, che identificano otto fasi per la redazione della relazione e su cui lo stesso ministero dell’Ambiente ha fondato buona parte della costruzione del Dm 272/2014: entrambi i documenti, infatti, prevedono la fase della verifica della sussistenza dell’obbligo di relazione, e richiedono che le indagini siano puntuali e affidabili. Tuttavia il decreto presentava un maggiore grado di dettaglio, nell’indicazione della strategia di investigazione e dei campioni da selezionare, rispetto alle linee guida.
A ciò si aggiunga che le linee guida non hanno natura cogente nell’ordinamento italiano (il punto 2 delle linee guida infatti indica che: «Scopo delle presenti linee guida è chiarire concretamente il testo e la finalità della direttiva, per consentirne un’attuazione uniforme da parte degli Stati membri»).
In questo contesto, quindi, è immaginabile un periodo di impasse in cui operatori e Pa potrebbero rallentare le istruttorie delle istanze di nuove Aia o di rinnovo proprio a causa dell’incertezza con cui redigere la relazione di riferimento.
AdA
fonte Sole24Ore CC