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La Consulta boccia le regioni sull’eolico

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L’ultima è stateolico 1--400x300a la Valle d’Aosta. Nel corso di meno di un anno la scure della Corte costituzionale si è abbattuta sulle norme relative alle fonti rinnovabili di Calabria, Puglia, Molise e Basilicata. E sono ancora pendenti altri ricorsi contro quelle di Campania, Marche, Toscana e ancora Basilicata (stando ai precedenti, con buone probabilità di successo).
[...]Neanche lo Stato ci fa una bella figura: le linee guida sulle fonti rinnovabili, che una volta emanate avrebbero permesso alle regioni di esercitare la propria autonomia, sono in ritardo di sette anni. Il vuoto normativo viene riempito in qualche modo, con leggi e delibere talora abnormi e talaltra di contenuto accettabile, che di tanto in tanto vengono cancellate con penalizzanti effetti retroattivi su cittadini e imprese.
Secondo la Corte costituzionale resta e resterà prerogativa dello Stato stabilire – regione per regione – gli obiettivi da raggiungere in termini di potenza dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, che sono «opere di pubblica utilità, indifferibili e urgenti». Pertanto, non è possibile in alcun modo limitare l’installazione degli impianti, stabilendo tetti di potenza anche fonte per fonte, moratorie all’installazione, restrizioni alla concorrenza con il privilegio di operatori locali o comunque scelti dagli enti locali.
Allo stesso modo, è competenza dello Stato dettare le procedure burocratiche (autorizzazione unica o sua semplificazione con Dia).
Quindi è illegittima la richiesta di corrispettivi economici o finanziari per il rilascio degli assensi, è impossibile pretendere tempi burocratici più lunghi per l’iter, è negato anche il fatto di semplificare ulteriormente l’installazione, sostituendo in certi casi l’autorizzazione unica con la Dia. La regione, infine, può gestire in proprio le relative autorizzazioni, o delegarle alle province, ma non ai comuni. Tutte queste regole sono destinate a cambiare solo con il mutare delle norme nazionali, pur sempre condizionate dagli obiettivi di Kyoto, e quindi, secondo la Corte, non si vede perché mai le norme regionali si affannino a infrangerle.
Ma non è finita qui. Non c’è alcun dubbio sul fatto che gli enti locali, regioni in primis, sono investiti del ruolo di «procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti ». Peccato però che, al momento, non possano farlo. Prima, infatti, devono essere approvate in Conferenza unificata Stato-Regioni le linee guida nazionali ai sensi dell’articolo 8 del Dlgs 281/ 1997, su proposta del ministro delle Attività produttive e in accordo con gli altri ministeri competenti. È solo in applicazione a tali linee guida che potranno essere stilate quelle locali.
Perciò, quelle varate in quasi tutte le regioni italiane sono problematiche, anche quando contengono prescrizioni ragionevoli: per esempio, pongono delle condizioni all’installazione di impianti eolici o fotovoltaici nei siti di importanza comunitaria (Sic), nelle zone di protezione speciale (Zps), nei parchi naturali o nelle zone Natura 2000. Secondo Marco Pigni, direttore dell’Aper (Associazione nazionale produttori fonti rinnovabili): «Troppo spesso le Regioni intervengono con strumenti limitanti lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, sfruttando a questo scopo in modo improprio anche i piani paesaggistici».
Tra i poteri riconosciuti alle regioni, invece, c’è la possibilità di dettare normative di dettaglio riguardo agli aspetti procedimentali secondo le proprie esigenze, purché non contraddicano le norme di cornice (sentenza 119/2010). Le regioni hanno poi il diritto di stabilire misure di compensazione e riequilibrio ambientale (sentenze 282/2009, 124/2010), per esempio la riduzione delle emissioni inquinanti o la “sistemazione” dei siti, e attribuire alle province e ai comuni funzioni di vigilanza sanitaria e ambientale, ad esempio sulle fonti di inquinamento elettromagnetico (sentenza 120/2010).
«Va infine ricordato – sottolinea Pigni – che entro il prossimo 5 dicembre dovrà essere recepita dall’Italia la direttiva 2009/28/Ce con cui l’attuale bozza relativa alle Linee guida nazionali dovrà inevitabilmente confrontarsi».