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Nasce in Asia la città ideale

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Dharavi è la più grande baraccopoli indiana. Rifiuti, abitazioni improvvisate, sovrappopolazione. Eppure le vicine discariche di Mumbay (ex Bombay) sono diventate una risorsa. Secondo l’Onu migliaia di persone a Dharavi lavorano in circa 400 unità per il riciclo: scavano tra gli scarti, selezionano i residui, recuperano i materiali. Circa 15mila piccole imprese sono impegnate nella produzione di accessori e giocattoli a partire da plastiche, legno e metalli trovati nelle discariche. La sostenibilità diventa una chiave per lo sviluppo locale in un’area apparentemente priva di risorse.
Ma in India aziende e ricercatori hanno risposto alle esigenze locali e sociali con tecnologie “verdi” ad hoc. Non hanno strutture fognarie 730 milioni di persone: è un’emergenza sanitaria soprattutto nei centri urbani. L’imprenditore Bindeshwar Pathak ha inventato le «Sulabh toilet»: bagni pubblici che recuperano le evacuazioni umane. Batteri metanigeni trasformano i liquami in biogas, mentre le urine raccolte, ricche di fosfati, diventano fertilizzante per i terreni. Finora Pathak ha costruito 160 impianti per la produzione di gas dai rifiuti delle toilette. A Dacca (Bangladesh) un’organizzazione non profit, Ashoka, ha lanciato il programma «Waste concern»: gli addetti alla raccolta nelle discariche ricevono uno stipendio per portare materiali utili nei centri di riciclaggio. In cinque anni hanno trasformato 125mila tonnellate di scarti in fertilizzante.
Dal 2030 il 60% della popolazione mondiale vivrà nelle città, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. E oggi un miliardo di persone abita in baraccopoli o favelas. È il mercato di chi vive «alla base della piramide»: secondo la Banca Mondiale vale 5mila miliardi di dollari. Le frontiere di ricerca imprenditoriale, l’attenzione per l’ecologia e le prospettive di pianificazione urbana si intrecciano a partire dai bisogni del territorio. «Nonostante la sofisticazione del just-in-time e l’efficienza delle catene di approvvigionamento, solo il 10% degli input materiali mobilitati dalla società industriale viene condensato nei prodotti che consumiamo. Il restante 90% è sprecato, finisce in discarica o in mare», osserva Gunter Pauli, direttore dello Zeri Institute, un centro di ricerca impegnato in progetti a basso impatto ambientale. L’obiettivo di Pauli è minimizzare la generazione di scarti modificando gli ecosistemi produttivi: come nelle baraccopoli, i rifiuti diventano input al l’interno di una filiera integrata che li valorizza. In che modo? A partire dal design sistemico: «Bisogna ispirarsi all’ambiente: qualsiasi cosa funzioni bene in natura è sostenibile. Occorre utilizzare materiali localmente disponibili e cercare connessioni alternative esplorando le caratteristiche biochimiche».
Una trasformazione sistemica che supera i confini dei paesi in via di sviluppo e che coinvolge tutte le città. Partendo comunque necessariamente da un approccio integrato che, come sottolinea questo rapporto, deve affrontare tutti gli aspetti della convivenza urbana, dalla mobilità all’energia, dai servizi all’alimentazione e ai rifiuti [...].