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Fotovoltaico: da gennaio l’iter semplificato per installazioni fino a 20 kW In evidenza

28 Giugno 2016 |

impianto fotovoltaicoModello unico fotovoltaico, i primi passi. In vigore dallo scorso 24 novembre, la procedura semplificata per l’autorizzazione dei piccoli impianti di produzione di energia elettrica, aderenti o integrati sui tetti degli edifici, è pienamente operativa. E a dimostrarlo sono i dati forniti dal Gse (Gestore dei servizi energetici) che, da gennaio a oggi, ha ricevuto dai gestori di rete 600 richieste di attivazione del servizio di scambio sul posto e ha stipulato quasi 200 convenzioni.

Tuttavia, a frenare l’impiego della nuova procedura – che snellisce i passaggi per installare i sistemi domestici – è anche la scarsa conoscenza del modello stesso. Secondo Anie (associazione confindustriale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche) esiste un problema di scarsa informazione, anche a livello comunale, che inceppa il buon funzionamento di un meccanismo di per sé virtuoso.

Approvato dal ministero dello Sviluppo economico con il decreto del 19 maggio 2015 (che agisce su norme preesistenti), il modello è denominato “unico” perché sostituisce tutta la modulistica eventualmente adottata dai Comuni, dai gestori di rete (ad esempio Enel) e dal Gse, e riduce i diversi adempimenti finora previsti a due soli passaggi: la comunicazione preliminare e quella di fine lavori. Entrambi i passaggi possono oggi essere indirizzati a un solo soggetto, cioè l’impresa distributrice sulla cui rete insiste il punto di connessione esistente, che si incarica di svolgere il ruolo di interfaccia unitaria con tutti gli altri soggetti coinvolti nell’iter autorizzativo.

La semplificazione è riservata agli impianti di piccola taglia, con potenza nominale fino a 20 kW e comunque non superiore a quella già disponibile in prelievo. Impianti aderenti o integrati ai tetti con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda, installati presso clienti finali già dotati di punti di prelievo in bassa tensione (dove non ci sia ulteriore produzione fotovoltaica), e per i quali sia richiesto l’accesso al regime di scambio sul posto.

«La procedura – commenta Davide Valenzano, responsabile degli Affari regolatori del Gse – è notevolmente snellita rispetto al passato. Prima dell’inizio dei lavori, chi intende realizzare l’impianto compila una comunicazione preliminare che viene trasmessa, per via informatica, al gestore della rete. Un passaggio che sostituisce ogni adempimento autorizzativo. Allo stesso modo, al termine dei lavori va poi inviata la seconda parte del documento, che comprende dati tecnici sull’impianto, la dichiarazione di conformità alle disposizioni normative di riferimento e la presa visione e accettazione del regolamento di esercizio e del contratto di scambio sul posto con il Gse».
Il modello, spiega lo stesso Gse, sta iniziando a funzionare. «Il flusso di domande processate dai gestori di rete, che sono oltre un centinaio in Italia, è partito da gennaio. Certo – prosegue Valenzano – come tutte le nuove procedure, per tirare bilanci complessivi bisogna ancora attendere».

In concreto, non mancano però le difficoltà. Soprattutto perché chi dovrebbe applicare la norma dimostra spesso di non conoscerla a fondo. Durante questi primi mesi di applicazione, si sono infatti registrati casi di pratiche interrotte per la richiesta di documentazioni aggiuntive (fotografie, planimetrie, schemi dell’impianto), che il gestore della rete non era in realtà tenuto a presentare e che sono “ricadute” sull’utente finale. Il tutto evidentemente in contrasto con lo spirito di semplificazione della disciplina. Un altro tipo di ostacolo è poi nato intorno alla questione dell’autorizzazione paesaggistica che, come chiarito anche dallo stesso decreto del Mise, non è invece richiesta per l’installazione degli impianti in edilizia libera o soggetti a Dia (cioè quelli trattati dal modello unico), se non in casi di vincolo peculiari.

«A complicare la situazione – commenta Alberto Pinori, presidente di Anie – c’è sicuramente il fatto che, come spesso accaduto in Italia in altri casi simili, il modello unico è contenuto in una norma non redatta ex novo, ma che a sua volta rimanda ad altre norme precedenti. Questo, aggiunto alla scarsa conoscenza dello strumento da parte di alcun funzionari degli enti locali, ha favorito in certi casi gli impedimenti, obbligando i titolari a rinunciare all’uso del modello unico. In fin dei conti, un’occasione mancata, pur in presenza di una procedura che costituisce una reale semplificazione per gli utenti».

AdA

fonte Sole24Ore 144/16 SR e MCV