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Codice Appalti, in Gazzetta il decreto sui fondi per i collaudi degli appalti di grandi opere

Codice Appalti, in Gazzetta il decreto sui fondi per i collaudi degli appalti di grandi opere

È stato pubblicato il decreto 7 dicembre 2017 (GU Serie Generale n.12 del 16-01-2018) del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (di concerto con il Mef), che stabilisce le modalità e i limiti di spesa per i servizi di supporto e di indagine per il collaudo di infrastrutture di grande rilevanza o complessità affidate con la formula del contraente generale, in attuazione dell'articolo 196, comma 2, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

Il provvedimento stabilisce all'articolo 1 che “il soggetto aggiudicatore di infrastrutture di grande rilevanza o complessità affidate con la formula del contraente generale, sulla base di motivata richiesta della commissione di collaudo e prima dell'emissione del certificato di collaudo, può autorizzare la stessa ad avvalersi di soggetti specializzati per lo svolgimento di servizi di supporto e di indagine finalizzati alle operazioni di collaudo di cui trattasi”.

I servizi “vengono affidati dal soggetto aggiudicatore a soggetti specializzati nel settore d'interesse mediante le procedure di gara previste dal codice”.

I costi dei suddetti servizi “sono inseriti nel quadro economico pertinente alla realizzazione delle infrastrutture in questione con distinta evidenziazione, nel limite delle somme disponibili nella voce spese generali e imprevisti, in aggiunta ai costi già presenti nel medesimo quadro economico concernenti le spese per accertamenti di laboratorio, per verifiche tecniche e per eventuali collaudi specialistici già previsti in contratto”.

La spesa complessiva per i servizi di supporto e di indagine “non puo' superare il 10 per cento del compenso lordo spettante complessivamente alla commissione di collaudo”.

Le disposizioni del decreto “si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi, con i quali si indice una gara, sono pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore, nonche', in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”.

AdA

Scarica il Decreto 7 dicembre 2017

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Privacy: arriva il «bollino» per uffici e aziende senza irregolarità

Privacy: arriva il «bollino» per uffici e aziende senza irregolarità

Industria 4.0 e l’esplosione dei big data testimoniano come nella “società dei sensori” i dati personali si siano trasformati in tracce pervasive, suscettibili di identificare i singoli. Un volume impressionante di informazioni che solleva il problema di come assicurare trasparenza e controllo sul loro utilizzo.

Gli strumenti di regolamentazione volontaria previsti dal Gdpr (General data protection regulator, il regolamento europeo 2016/679), come marchi e sigilli oppure codici deontologici e certificazione privacy, sono la segnaletica di affidabilità generale per la corretta gestione del traffico delle tracce individuali. La certificazione, a cui possono ricorrere sia i soggetti privati sia quelli pubblici, rende manifesta la conformità al regolamento nei riguardi di partner commerciali, Autorità di controllo, clienti e consumatori.

Diventa quindi comprensibile l’attesa per l’approvazione delle relative linee guida ad opera del Gruppo di lavoro dell’articolo 29, l’organo consultivo della Commissione Ue sulla privacy. Il tema è stato inserito nell’agenda del 6 e 7 febbraio, penultima riunione prima dello scioglimento del Gruppo, sostituito dal Comitato dell’articolo 68.

Il sistema della certificazione è un processo che culmina in un attestato (il “certificato”) rilasciato da un ente indipendente e accreditato (“ente di certificazione”), secondo il quale l’azienda assegnataria risulta soddisfare determinati requisiti indicati in un apposito schema di verifica (“schema di certificazione”), approvato in precedenza da un ente autonomo di supervisione (“Organismo di accreditamento”), secondo metodi e procedure indicati in norme tecniche, di contenuto generale e valide per chiunque.

Il Gdpr recepisce questo meccanismo, impostandolo su uno schema di certificazione approvato dall’Autorità di controllo competente oppure dall’Organismo nazionale di accreditamento (per l’Italia, Accredia). Dall’altro lato, il Gdpr prevede alcune disposizioni integrative, specifiche per la “certificazione privacy”.

In sintesi, si stabilisce che i soggetti con potere di accreditamento possono essere l’organismo nazionale di accreditamento o l’Autorità di controllo (da noi è il Garante privacy) oppure entrambi. Il riconoscimento di una competenza alternativa tra organismo di accreditamento e autorità di controllo può giustificarsi con la constatazione che l’attuale situazione degli organismi di accreditamento presso gli Stati membri appare troppo variegata per poter consentire una soluzione uniforme. Di contro, la terza opzione della competenza congiunta non sembra trovare un ragionevole fondamento. Spetterà agli Stati membri, in base al Gdpr, scegliere l’opzione ritenuta ottimale per il contesto nazionale.

I criteri di accreditamento sono quelli previsti dallo standard En-Iso/Iec 17065/2012, integrati con quelli che il Garante stabilirà: una scelta di campo rispetto agli schemi sui sistemi di gestione delle informazioni, della famiglia Iso 27000. Gli enti di certificazione, pertanto, dovranno dimostrare competenza sia in tema di standard Iso 17065 sia riguardo alla disciplina della privacy. Per questo, se un ente di certificazione si fosse già accreditato in base alla norma En-Iso/Iec 17065/2012 per aspetti estranei al Gdpr e successivamente intendesse estendere l’ambito del proprio accreditamento anche alla privacy, dovrebbe dimostrare di soddisfare gli ulteriori requisiti previsti dal Garante.

Il futuro “certificato Gdpr” (articolo 43 del regolamento) non è garanzia assoluta di rispetto della norma, ma rappresenta comunque un’attestazione la cui attendibilità è supportata da verifiche periodiche di compliance, sanzioni per il caso di trasgressioni, possibilità per terzi di effettuare reclami e di riceverne adeguato riscontro.

AdA

fonte Sole24Ore 28/18 RI e RI

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Codice dei contratti: adottato il Decreto BIM

Codice dei contratti: adottato il Decreto BIM

Tutto pronto per l'introduzione del BIM (Building Information Modelling) in Italia. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha adottato il decreto 1 dicembre 2017, n. 560 che stabilisce le modalità e i tempi di progressiva introduzione dei metodi e degli strumenti elettronici di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture.

L'ufficialità è arrivata sul sito del MIT dove, in attuazione a quanto previsto dall’articolo 23, comma 13, del D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti), è stato pubblicato il decreto che definisce le modalità e i tempi di progressiva introduzione, da parte delle stazioni appaltanti, delle amministrazioni concedenti e degli operatori economici, dell’obbligatorietà dei metodi e degli strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture, nelle fasi di progettazione, costruzione e gestione delle opere e relative verifiche.

Il decreto entra in vigore il prossimo 28 gennaio 2018.

Sono confermati i tempi di progressiva introduzione obbligatoria dei metodi e strumenti elettronici di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture. In particolare, le stazioni appaltanti dovranno richiedere, in via obbligatoria, l’uso BIM secondo la seguente tempistica:

  • per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 100 milioni di euro, a decorrere dal 1° gennaio 2019;
  • per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 50 milioni di a decorrere dal 1° gennaio 2020;
  • per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 15 milioni di euro a decorrere dal 1° gennaio 2021;
  • per le opere di importo a base di gara pari o superiore alla soglia di cui all’articolo 35 del codice dei contratti pubblici, a decorrere dal 1° gennaio 2022;
  • per le opere di importo a base di gara pari o superiore a 1 milione di euro, a decorrere dal 1° gennaio 2023;
  • per le nuove opere di importo a base di gara inferiore a 1 milione di euro, a decorrere dal 1° gennaio 2025.

Ci sarà un anno affinché le stazioni appaltanti che mettono in gara lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 100 milioni di euro potranno adeguarsi.

AdA

Scarica il Decreto 1 dicembre 2017, n. 560

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Bilanci di sostenibilità e azioni di CSR, alcune aziende si impegnano con compensi variabili dei loro manager

Bilanci di sostenibilità e azioni di CSR, alcune aziende si impegnano con compensi variabili dei loro manager

A parole, quasi tutte dicono di avere a cuore la responsabilità sociale e ambientale. Alcune hanno cominciato a «misurare» il loro impegno, per esempio nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica e nell’utilizzo di acqua (le cosiddette carbon e water footprint), e infatti redigono un bilancio sociale. Ma quante hanno «integrato» la sostenibilità e la Corporate social responsibility nelle loro attività e non la tengono confinata a una funzione aziendale separata dall’attività principale?

Un criterio per capire quanto le aziende si sforzino è quello di valutare il coinvolgimento nella responsabilità sociale d’impresa non soltanto dei Csr manager (che di lavoro fanno questo), ma anche degli altri dirigenti. Le aziende, in genere, danno ai dipendenti obiettivi di business e legano la retribuzione variabile a un meccanismo chiamato «Management by Objectives» (Mbo) determinato in funzione del raggiungimento di risultati economici, come per esempio gli utili raggiunti dall’azienda o l’andamento del titolo in Borsa. Ma perché non dare a livello individuale obiettivi sociali e ambientali per incentivare i manager a raggiungere risultati anche in questi campi?

Apripista a livello mondiale a legare le remunerazioni agli obiettivi Csr è stata Intel. Quando, nel 2008, lanciò i sustainability goals per il 2012, la multinazionale Usa produttrice di microprocessori prese una decisione inedita: incoraggiare i dipendenti a raggiungere gli obiettivi legando parte del loro stipendio a risultati ambientali. E funzionò: per il 2012, Intel riuscì ad abbassare del 35 per cento le emissioni. Accade anche in Italia? «Buone Notizie» a dicembre 2017 ha condotto un’inchiesta contattando tutte le 40 società quotate sul listino principale di Piazza Affari (il Ftse Mib). Due le domande rivolte: «I vostri top manager hanno obiettivi legati alla Csr/sostenibilità?». «Se sì, i risultati legati a tali obiettivi sono presi in considerazione nei criteri utilizzati per assegnare i bonus e/o la parte variabile del compenso?». Dalle risposte (si veda l’infografica qui sopra), emerge che 23 hanno dato ai manager obiettivi di Csr o di sostenibilità e, tra queste, 20 prendono in considerazione tali obiettivi per assegnare parte del compenso variabile. Ecco alcuni esempi.

Eni nell’ambito dei Piani di Performance collegati al sistema di incentivazione variabile ha introdotto obiettivi di sostenibilità focalizzati sulla sicurezza delle persone, l’ambiente e lo sviluppo delle comunità locali nei Paesi in cui è presente. Per l’amministratore delegato e il direttore generale gli obiettivi sono focalizzati sulle tematiche di maggiore strategicità ed impatto socio-ambientale costituite dalle emissioni di gas serra e dalla sicurezza e salute delle persone. Per il top management, oltre a questi obiettivi opportunamente declinati in relazione alle responsabilità ricoperte, ne sono assegnati altri specifici relativi a progetti di sviluppo di servizi e strutture sanitarie e/o di infrastrutture per l’accesso all’energia nei Paesi in via di sviluppo, di controllo ambientale e bonifiche, di sviluppo delle energie rinnovabili, nonché di monitoraggio del rispetto dei diritti umani. Complessivamente, gli obiettivi di sostenibilità hanno un peso non inferiore al 25 per cento nel sistema di incentivazione dei massimi dirigenti Eni. Gli obiettivi di sostenibilità sono declinati per tutti i livelli di management con un peso minimo del 10 per cento.

In Snam per il 2017 l’obiettivo di sostenibilità societario e del top management era composto da due aspetti: l’indice di frequenza degli infortuni di dipendenti e contrattisti e la conferma dell’inclusione nonché il miglioramento del posizionamento di Snam rispetto agli indici di sostenibilità Dow Jones Sustainability Index, FTSE4GOOD e VigeoEurope. Poi c’è un Piano di Lungo Termine a base azionaria che prevede, quale obiettivo di sostenibilità, la riduzione delle emissioni di gas naturale. Sia l’incentivazione variabile di breve termine sia l’incentivazione di lungo termine 2017-2019 garantiscono un parametro legato alla sostenibilità pari al 10 per cento per l’amministratore delegato e per tutti i dirigenti.

Gli obiettivi di sostenibilità rappresentano una quota importante nella definizione degli obiettivi aziendali assegnati al Ceo di Saipem e a tutti i livelli manageriali. Il raggiungimento o meno degli obiettivi è strettamente connesso ai processi di incentivazione. Gli obiettivi di sostenibilità aziendali costituiscono il 10 per cento degli obiettivi annuali assegnati al Ceo. Come indicatori sono utilizzati, per esempio, la frequenza degli infortuni sul lavoro e il rispetto dei diritti umani verificato con i controlli audit.

Per sostenere la realizzazione degli impegni che A2A si è prefissata per un business sempre più sostenibile, la multi-utility ha definito un modello per assegnare, a partire dal 2017, a tutti i dirigenti un obiettivo sulla sostenibilità, che sia misurabile: il loro peso varia tra il 5 e il 10 per cento e A2A sta valutando un incremento di tale percentuale. Nel «Performance Management» di tutti i country manager di Pirelli sono presenti obiettivi di sostenibilità sociale e ambientale (per esempio la riduzione degli indici di frequenza degli infortuni, la riduzione dei consumi energetici e del prelievo idrico, l’aumento del recupero di rifiuti e il controllo della sostenibilità della catena di fornitura).

AdA

fonte Corriere della Sera

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Privacy. Gli adempimenti da mettere in campo in vista del debutto del nuovo regolamento Ue il 25 maggio

Privacy. Gli adempimenti da mettere in campo in vista del debutto del nuovo regolamento Ue il 25 maggio

Revisione dell’organigramma e ripartizione delle funzioni, valutazione dei rischi e individuazione degli strumenti per tutelare la riservatezza. La realizzazione del “modello organizzativo privacy” - con cui sono alle prese in questo periodo le imprese per prepararsi al debutto delle prescrizioni del regolamento Ue 679/2016, che entrerà in vigore il 25 maggio 2018 - presenta molti punti di contatto e somiglianze con le disposizioni del decreto legislativo 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

Il regolamento Ue 679/2016 rivoluziona la normativa sulla privacy, abrogando, tra l’altro, la direttiva 95/46, da cui “discende” l’attuale Codice italiano sulla privacy (decreto legislativo 196/2003). Per adeguarsi alle nuove norme, le imprese devono quindi rivedere la compliance interna finalizzata a garantire la protezione dei dati e delle informazioni personali che trattano e conservano.

Precisamente è il titolare del trattamento che ha il compito di attuare gli adempimenti previsti dalla normativa e a cui devono essere rimproverate eventuali violazioni o omissioni rispetto ai divieti e alle prescrizioni introdotte. Ed è sempre il titolare del trattamento a dover provare di aver posto in essere le iniziative necessarie per assicurare l’adeguamento delle policy interne alla nuova disciplina.

La necessità di provare l’avvenuto adeguamento della compliance aziendale alle nuove prescrizioni privacy ha portato le imprese a introdurre una sorta di “dossier privacy” o per alcuni altrimenti detto “modello organizzativo privacy”, che racchiuda tutti gli adempimenti necessari ad assicurare la riservatezza e il più elevato grado di tutela per i dati personali trattati nelle società. Un modello che ricorda da vicino quello che va predisposto (e aggiornato) per rispettare il decreto legislativo 231/2001.

Si parte con la revisione dell’organigramma, prestando cioè attenzione alla presenza delle nomine esistenti e alla descrizione dei nuovi compiti assegnati al titolare, al responsabile del trattamento, agli incaricati al trattamento. A ciò si accompagna la verifica circa l’obbligatorietà, per i casi espressamente indicati dalla normativa, o la mera opportunità, negli altri casi, di nominare un Data protection officer (Dpo).

Quanto detto sembra pienamente rispondere al criterio della segregation of duties (Sod) che già governa il sistema 231, secondo cui occorre individuare le distinte responsabilità in capo a ciascuna funzione descrivendone nel dettaglio i compiti affidati.

In questa chiave di lettura, di notevole impatto è l’obbligo di provvedere alla valutazione dei rischi privacy (una sorta di risk assessment privacy), destinata inevitabilmente a confluire in un documento riepilogativo delle analisi effettuate. In esso sono individuati i possibili rischi associati alle distinte attività svolte, passaggio che presuppone la previa disamina dei rispettivi processi aziendali nell’ambito dei quali sono trattati i dati.

In questa valutazione si deve tener conto dell’identità dei soggetti interessati al trattamento (ad esempio, dipendenti o fornitori), delle finalità del trattamento nonché delle tipologie (ad esempio, dati sanitari, anagrafici o altri) e delle categorie di trattamento entro le quali sono compresi i dati gestiti dall’azienda.

Sarà necessario, inoltre, garantire un costante aggiornamento a questo documento in occasione di possibili mutamenti sia organizzativi che normativi in grado di incidere sul trattamento dei dati messi a disposizione delle imprese.

Riecheggiando la recente normativa sul whistleblowing (legge 179/2017, in vigore dal 29 dicembre 2017), è infine richiesta l’introduzione di specifiche modalità di presentazione delle comunicazioni circa eventuali violazioni riscontrate sui dati personali (data breach): sarà utile predisporre moduli distinti a seconda della tipologia di violazione riscontrata, individuare un ufficio responsabile per ricevere le segnalazioni oltre che individuare le eventuali iniziative da intraprendere, a livello organizzativo e tecnico, capaci di porre rimedio alle irregolarità che si sono verificate.

Infine, allo scopo di sensibilizzare tutto il personale dipendente nonché le funzioni aziendali impiegate a ogni livello nell’assessment societario, è prevista l’implementazione di un codice di condotta per garantire la corretta osservanza delle prescrizioni del regolamento Ue, da elaborare tenuto conto delle peculiarità settoriali e delle esigenze specifiche delle micro, piccole e medie imprese.

AdA

fonte Sole24Ore 21/18 LF

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Anticorruzione: servizi e forniture con bando tipo vincolante per appalti sopra la soglia comunitaria

Anticorruzione: servizi e forniture con bando tipo vincolante per appalti sopra la soglia comunitaria

Tutti i dettagli sulle cause di esclusione, con l’elenco delle carenze che possono essere sanate in corsa. Chiarimenti in materia di subappalto, a partire dalle indicazioni sulla terna, e su molti altri punti controversi: la suddivisione in lotti, il rating di legalità e il rating di impresa, l’avvalimento, i criteri delle offerte.

Sono solo alcune delle indicazioni contenute nel documento approvato dall’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone: il bando tipo 1/2017 in materia di servizi e forniture sopra la soglia comunitaria di 209mila euro. Un testo di importanza strategica, che impatta su un mercato potenziale da 86mila bandi e oltre 90 miliardi di euro.

La relazione illustrativa dell’Authority spiega che l’obiettivo del documento è «fornire alle stazioni appaltanti uno strumento a garanzia di efficienza, standard di qualità dell’azione amministrativa e omogeneità dei procedimenti». In sostanza, in tutte le situazioni dubbie, l’Anac, analizzando i diversi orientamenti interpretativi, dice esplicitamente alle stazioni appaltanti come devono comportarsi. E fornisce così uno strumento applicativo che viaggia in parallelo rispetto alle linee guida attuative del codice appalti.

Bisogna ricordare, infatti, che il nuovo codice (Dlgs 50/2016, articolo 71) rende vincolante l’utilizzo dei bandi-tipo dell’Autorità. Lo schema, quindi, è che il disciplinare dell’Anac dovrà essere applicato in blocco, «fatte salve le parti appositamente indicate come facoltative». Nei casi in cui le stazioni appaltanti lo ritengano necessario, sono consentite deroghe alle disposizioni obbligatorie, purché non in contrasto con le norme di legge e «purché adeguatamente sostenute da espressa motivazione nella delibera a contrarre». Chi vuole derogare deve motivarlo esplicitamente, assumendosene la responsabilità. L’altra grande novità rispetto al passato è che siamo davanti a un vero modello standard: le stazioni appaltanti potranno, cioè, anche solo copiare il testo redatto dai tecnici di Cantone e riempirlo con le loro informazioni.

Questo disciplinare tipo andrà utilizzato per servizi e forniture di importo superiore alla soglia comunitaria (209mila euro), da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Ma il raggio d’azione potenziale riguarda, in realtà, tutte le gare di servizi e forniture. Con qualche accorgimento, secondo l’Anac, sarà infatti possibile usare il documento anche per gare da assegnare con il prezzo più basso, allargandosi oltre i settori ordinari a quelli cosiddetti speciali (energia, trasporti, gas, acqua, poste).

Alla luce di queste premesse, il capitolo più interessante riguarda i motivi che possono portare all’esclusione di un concorrente dalla gara. Le cause di esclusione vengono, così, standardizzate, indicando quali sono le carenze delle offerte che possono essere sanate con un’integrazione documentale e quali, invece, vanno considerate insanabili. Altri chiarimenti arrivano sulla terna dei subappaltatori: l’impresa che non indica la terna non rischia l’esclusione, ma non potrà ricorrere al subappalto. Ancora, si parla di suddivisione in lotti per favorire la massima concorrenza. E di valutazione delle offerte. In questo caso, l’obiettivo è di non dare al prezzo un peso prevalente, affidandosi anche ad altri elementi, legati alla qualità.

AdA

fonte Sole24Ore GL

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Crowdfunding online per le Pmi, in vigore il nuovo regolamento Consob

Crowdfunding online per le Pmi, in vigore il nuovo regolamento Consob

Nuove regole sul crowdfunding. La raccolta di capitali e fondi, in particolare on line, da parte delle piccole e medie imprese, già disciplinata dalla Consob con un regolamento del 26 giugno 2013, subisce rilevanti modifiche, per effetto del nuovo regolamento del 29 novembre del 2017, in vigore dal 3 gennaio.

L’obiettivo è quello di adeguare la normativa secondaria di emanazione Consob in materia di equity crowdfunding alle modifiche in merito apportate al decreto legislativo del 24 febbraio 1998 n. 58 (Tuf).

In particolar modo, la legge di Bilancio 2017 – legge 11 dicembre 2016, n. 232 – ha introdotto non poche novità in materia di equity crowdfunding (raccolta di capitale di rischio), estendendo la relativa disciplina contenuta nel Tuf – in precedenza limitata esclusivamente alle start-up ed alle piccole e medie imprese innovative – a tutte le piccole e medie imprese come definite dalla disciplina dell’Unione europea.

Al contempo, con la manovra di primavera (Dl 50/2017) il legislatore ha esteso a tutte le Pmi costituite in forma di srl le deroghe al diritto societario già previste per le start-up innovative, ivi inclusa la possibilità di offrire al pubblico le quote sociali anche attraverso i portali per la raccolta di capitali.

I gestori dei portali dovranno innanzitutto aderire a un sistema di indennizzo a tutela degli investitori che abbia le caratteristiche già previste dal’articolo 59 dello stesso Tuf. In alternativa, potranno stipulare una polizza assicurativa per responsabilità professionale per danni derivanti al cliente dalla loro attività, che copra – per ciascun indennizzo – almeno 20mila euro e, per il totale degli eventuali indennizzi richiesti, la cifra di un milione di euro all’anno.

Per i gestori, ovviamente, sono previsti stringenti requisiti di onorabilità e professionalità, ma, soprattutto, una regolamentazione ferrea dei conflitti di interesse. È chiaro che il fenomeno è potenzialmente frequente, dal momento che chi gestisce il portale potrebbe avere interessi particolari in imprese offerenti i titoli. In tal caso, oltre che a comunicare ai sottoscrittori dei titoli in questione i potenziali conflitti, si dovrà giungere all’astensione dall’incarico da parte degli emittenti, qualora il conflitto risulti assai rilevante e condizionante per il mercato.

Inoltre, i gestori – iscritti in apposito elenco gestito e supervisionato dalla Consob stessa – per contenere i conflitti suddetti, dovranno adottare adeguati presidi operativi che assicurino la compatibilità dell’offerta col mercato di riferimento della domanda. Ancora, essi faranno eseguire una due diligence dell’operazione in conflitto da soggetti terzi e indipendenti. Così come faranno fare ai soggetti che tramiteranno gli ordini dei sottoscrittori la verifica dell’adeguatezza degli strumenti finanziari oggetto delle offerte, prevista dal Tuf e dal regolamento intermediari.

Tutto ciò è necessario, è bene chiarirlo, poiché a un gestore è consentito offrire sul proprio portale la sottoscrizione di suoi titoli ovvero di quelli emessi da società controllanti, controllate, collegate, ma ovviamente le precauzioni saranno raddoppiate rispetto all’offerta di prodotti di terzi.
L’articolo 14 del regolamento Consob, in versione integrale riportata sul sito della Consob, prevede una serie di informazioni obbligatorie che i portali devono rendere chiaramente visibili al pubblico, sia identificative con esattezza del gestore, dei servizi offerti, delle garanzie, delle regole di trasparenza previste dalla normativa nazionale.

Si ricorda infatti che in materia è anche intervenuto il Dlgs del 3 agosto 2017 n. 129, di attuazione della direttiva 2014/65/Ue (cosiddetta Mifid II), che ha previsto ulteriori modifiche alle disposizioni del Tuf in materia di raccolta di capitali di rischio tramite portali on-line, anch’essa da poco entrata in vigore.

AdA

fonte Sole24Ore 4/18 RR

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Codice Appalti: in Gazzetta europea i regolamenti che fissano le nuove soglie comunitarie per appalti pubblici

Codice Appalti: in Gazzetta europea i regolamenti che fissano le nuove soglie comunitarie per appalti pubblici

Pubblicati in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (19 dicembre 2017) i Regolamenti 2364, 2365, 2366 e 2367 recanti le nuove soglie europee per gli appalti, in vigore dal 1° gennaio 2018.

In base a quanto previsto dal Codice Appalti (D.Lgs. 50/2016) si ha che al di sotto delle soglie comunitarie si possono utilizzare procedure più snelle, come l’affidamento diretto e la procedura negoziata, mentre, per importi più elevati, bisogna invece ricorrere alle procedure ordinarie.

Con le modifiche introdotte dai Regolamenti europei le nuove soglie, superate le quali trova applicazione la normativa comunitaria sugli appalti pubblici, saranno le seguenti.

Per i settori ordinari:

  • 135.000 euro per gli appalti di servizi e forniture aggiudicati da Amministrazioni che sono Autorità governative centrali
  • 209.000 euro per gli appalti di servizi e forniture aggiudicati da Amministrazioni che non sono Autorità governative centrali
  • 5.225.000 euro per gli appalti di lavori pubblici

Per i settori speciali (gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali)

  • 414.000 euro per gli appalti di servizi e forniture
  • 418.000 euro per gli appalti di lavori

Per le concessioni, invece, viene stabilito un’unica soglia di 5.225.000 euro.

AdA

Scarica il Regolamento delegato (UE) 2017/2364

Scarica il Regolamento delegato (UE) 2017/2365

Scarica il Regolamento delegato (UE) 2017/2366

Scarica il Regolamento delegato (UE) 2017/2367

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