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Sicurezza sul lavoro semplificata per i lavoratori a domicilio

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DVRAi lavoratori a domicilio si applicano in materia di formazione le disposizioni del Dlgs 81/08 – nonché quella prevista dagli accordi fra Stato e Regioni – mentre il domicilio da loro eletto non si considera luogo di lavoro e come tale non è oggetto di valutazione dei rischi (VDR).
Lo ha chiarito nei giorni scorsi la Commissione per gli interpelli presso il ministero del Lavoro, rispondendo ad uno dei quesiti ricevuti in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
La risposta all'interpello 13/13 – in cui si chiede anche se i lavoratori attivi nella propria abitazione vadano formati e informati anche quali addetti al primo soccorso e all'antincendio – per la prima parte si riporta al contenuto dell'articolo 3, comma 9, del Tu. Articolo in cui si prevede che per il lavoro a domicilio trovano applicazione le disposizioni previste per la generalità dei lavoratori in materia d'informazione e formazione dagli articoli 36 e 37 dello stesso Testo unico. A tale obbligo si aggiunge quello di fornire loro i dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni effettuate (ad esempio, mascherine, occhiali, ecc.) aventi i requisiti previsti dal Titolo 3° del Tu. Il domicilio, invece, non si può considerare luogo di lavoro, per cui non è prevista nè la Vdr, né la particolare formazione per il primo soccorso e l'antincendio.
Un altro interpello (14/13) si è soffermato, poi, sul possibile utilizzo delle procedure standardizzate per le aziende fino a 50 lavoratori il cui rischio chimico sia risultato basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori e quello biologico non presente. Ciò in quanto l'articolo 29, comma 6, del Tu prevede che i datori di lavoro fino a 50 lavoratori possono effettuare la Vdr sulla base delle procedure standardizzate di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f) e il successivo articolo 29, comma 7, lettera b) stabiliscono che tali procedure non possono essere applicate dalle aziende che svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni, ecc. Il Ministero – correlando tale ultima disposizione con gli articoli 223, comma 1, e 271, comma 1, del Tu – ha ritenuto che se i risultati della Vdr dimostrano che, in relazione al tipo e quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza d'esposizione, c'è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori, non si applicano le più rigorose disposizioni degli articoli 225-230 del Testo unico. Se poi dalla Vdr non risulti l'esposizione al rischio chimico, chi ha fino a 50 lavoratori potrà utilizzare le procedure standardizzate. Ad analoga conclusione si perviene in materia di rischio biologico.
La Commissione si è espressa, infine, sulla durata e ai contenuti della formazione dei lavoratori (interpello 11/13), ossia se si possa prescindere dall'appartenenza ad uno specifico settore Ateco, riferendosi invece alla effettiva condizione di rischio che emerga, per ciascuna attività lavorativa, dopo la Vdr. Sul punto il Ministero, riportandosi agli Accordi Stato-Regioni del 21 novembre 2011 e del 25 luglio 2012 , ha concluso che la formazione, che dovrà essere sufficiente ed adeguata, potrà essere riferita all'«effettiva mansione» svolta dal lavoratore, considerata in sede di Vdr, prescindendo, dunque, dal codice Ateco di appartenenza dell'azienda.

AdA

Fonte: Il Sole 24 Ore n.307 - L.C.