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Autorizzazione integrata ambientale: le novità del decreto 104/19

Autorizzazione integrata ambientale: le novità del decreto 104/19

Con il decreto 15 aprile 2019, n. 104, il ministero dell'Ambiente, della tutela del territorio e del mare, ha dettato le «Modalità per la redazione della relazione di riferimento di cui all'articolo 5, comma 1, lettera v)-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152/06».

Il provvedimento è stato emanato in sostituzione del precedente D.M. 13 novembre 2014, n. 272, annullato dal Tar Lazio (Roma), con sentenza 20 novembre 2017, n. 11452.

Lo strumento della “relazione di riferimento” è stato introdotto dalla direttiva 2010/75/Ue (cosiddetta “direttiva Ied”, recepita nell’ordinamento italiano attraverso il D.Lgs. n. 46/2014) e riguarda esclusivamente le attività soggette ad autorizzazione integrata ambientale (Aia); esso ha lo scopo di consentire un raffronto tra lo stato di contaminazione iniziale del sito e quello risultante al momento della cessazione definitiva dell’attività industriale, al fine dell’eventuale adozione di misure ripristinatorie nel caso di peggioramento della contaminazione.

AdA

Scarica il decreto 15 aprile 2019, n. 104

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La relazione AIA perde la bussola

La relazione AIA perde la bussola

Le nuove istanze di Autorizzazioni Integrate Ambientali (AIA) rischiano di rallentare dopo la bocciatura del decreto con le istruzioni per le relazioni di riferimento. Il Tar Lazio, con la sentenza 11452 pronunciata lo scorso 20 novembre ha infatti annullato il decreto del ministero dell’Ambiente (Dm 272/2014) che dettava le modalità di redazione della relazione di riferimento, ossia il documento che i gestori degli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale devono predisporre prima di mettere in esercizio l’impianto che utilizza sostanze pericolose o in fase antecedente al primo aggiornamento dell’Aia.

Lo strumento della relazione di riferimento nasce, prima a livello comunitario e poi nazionale, per assicurare l’assenza di contaminazioni nel suolo e nelle acque sotterranee. È un documento di raffronto tra la situazione esistente nel momento in cui si avvia l’attività di uno stabilimento (o quando essa è già pienamente operativa) e la situazione esistente al momento della dismissione dell’impianto.

La relazione di riferimento, quindi, fotografa lo stato del sottosuolo in un dato momento storico e, nelle intenzioni del legislatore, questa fotografia servirà quando l’installazione produttiva smetterà di operare. In quel momento, infatti, graverà sul gestore l’obbligo di verificare se le operazioni industriali hanno causato un deterioramento delle condizioni del sottosuolo. Per la verifica, il parametro di riferimento sarà costituito, appunto, dalla situazione fotografata (anni prima) dalla relazione di riferimento.

Va da sé che se il raffronto determina un peggioramento della qualità di suolo e acque, il gestore deve compiere le attività necessarie per «rimediare a tale inquinamento». Scattano così molte questioni interpretative sull’intreccio logico e giuridico che sussiste tra obbligo di rimessa in pristino che nasce dal raffronto con la relazione di riferimento e l’obbligo di bonifica previsto dal Codice dell’ambiente. Ma la sentenza del Tar Lazio pone un problema diverso, più imminente e pratico: come redigere la relazione di riferimento ora che il decreto ministeriale 272/2014 è stato annullato.

L’obbligo di redigere la relazione di riferimento è un adempimento abbastanza recente: è stato introdotto nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 46/2014, ossia il decreto che ha sostanzialmente riscritto la sezione del Codice dell’ambiente dedicata agli impianti in Aia, che come molte norme nazionali, trova la sua genesi nell’ordinamento comunitario (e, in particolare, nella direttiva 2010/75/Ue).

Il Codice dell’ambiente ha, quindi, indicato i casi in cui l’obbligo della relazione scatta ma ha anche stabilito che le modalità per predisporre la relazione di riferimento, con particolare riguardo alle metodiche di indagine ed alle sostanze pericolose da ricercare per gli impianti ricadenti in Aia, fossero disciplinate da un decreto del ministro dell’Ambiente.

In virtù di questa delega (contenuta nel comma 9-sexies dell’articolo 29-sexies del Codice dell’ambiente) il ministero aveva varato il Dm 272/2014 che completava il quadro normativo sulla relazione con questi obiettivi:

  • introduzione di una verifica preliminare per la sussistenza dell’obbligo della relazione;
  • definizione dei tempi per la presentazione della relazione;
  • indicazione dei contenuti minimi e dei criteri per la caratterizzazione di suolo e acque.

Il Tar Lazio ha annullato il decreto ritenendo che sia stato approvato con un procedimento di formazione non corretto: secondo i giudici avrebbe dovuto essere sottoposto al Consiglio di Stato, alla Corte dei Conti e pubblicato per intero. Ora, in assenza del Dm 272, e fino a quando il ministero dell’Ambiente non provvederà con un nuovo decreto, restano da trovare nuove basi e metodologie per predisporre il documento.

Un contributo ai tecnici che redigeranno la relazione potrà sicuramente venire dalle linee guida della Commissione europea 2014/C 136/01, che identificano otto fasi per la redazione della relazione e su cui lo stesso ministero dell’Ambiente ha fondato buona parte della costruzione del Dm 272/2014: entrambi i documenti, infatti, prevedono la fase della verifica della sussistenza dell’obbligo di relazione, e richiedono che le indagini siano puntuali e affidabili. Tuttavia il decreto presentava un maggiore grado di dettaglio, nell’indicazione della strategia di investigazione e dei campioni da selezionare, rispetto alle linee guida.

A ciò si aggiunga che le linee guida non hanno natura cogente nell’ordinamento italiano (il punto 2 delle linee guida infatti indica che: «Scopo delle presenti linee guida è chiarire concretamente il testo e la finalità della direttiva, per consentirne un’attuazione uniforme da parte degli Stati membri»).

In questo contesto, quindi, è immaginabile un periodo di impasse in cui operatori e Pa potrebbero rallentare le istruttorie delle istanze di nuove Aia o di rinnovo proprio a causa dell’incertezza con cui redigere la relazione di riferimento.

AdA

fonte Sole24Ore CC

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Linee guida per la valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (VIIAS) nelle procedure di autorizzazione ambientale (VAS, VIA e AIA)

via LGPubblicate dall’ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, le Linee guida per la valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (VIIAS) nelle procedure di autorizzazione ambientale (VAS, VIA e AIA)

Queste Linee Guida, frutto delle conoscenze ed esperienze sviluppate negli anni dal Sistema Nazionale delle Agenzie di Protezione Ambientale, rappresentano un primo contributo alle esigenze operative di coloro che, a vario titolo, sono soggetti attivi nell’ambito delle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), Valutazione Ambientale Strategica (VAS), Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) in relazione alla valutazione della componente salute.

Esse nascono dall’esigenza maturata negli ultimi anni di dotare gli operatori, in particolare quelli appartenenti al Sistema delle Agenzie per l’Ambiente e al Servizio Sanitario Nazionale, di uno strumento metodologico per una valutazione integrata dei potenziali impatti sulla salute dei determinanti ambientali, prendendo spunto da esperienze simili già esistenti in altri Paesi e in definizione in alcune regioni Italiane. Le Linee Guida definiscono i criteri per lo svolgimento delle attività ordinarie di VIA, VAS e AIA previste dalle normative vigenti. L’obiettivo è anche quello di avviare una discussione su un percorso comune e coerente tra le diverse figure professionali coinvolte a livello locale, promuovendo cioè anche un’integrazione di processo, ad oggi non strutturato, oltre che metodologico che possa consentire un confronto trasparente con stakeholder pubblici e privati.

L’integrazione della procedura di Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS) con le procedure correnti di VIA definisce la Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario (VIIAS).

AdA

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Rifiuti: il Governo «salva» gli impianti in attesa dell’autorizzazione integrata ambientale

Rifiuti

Con un decreto “salva-imprese” venerdì scorso il Cdm ha sventato il rischio che da ieri 7 luglio molte imprese italiane specializzate nelle attività di recupero e smaltimento dei rifiuti dovessero interrompere le proprie attività per la mancata conclusione da parte della Pa dell'iter di concessione dell'Autorizzazione integrata ambientale (AIA).

L’altro giorno il Consiglio dei ministri, su iniziativa del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, ha infatti approvato un decreto (Articolo 2, Modifiche all'articolo 29 del decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 46) nel quale si afferma che «le installazioni possono continuare l'esercizio in base alle autorizzazioni previgenti, se del caso opportunamente aggiornate a cura delle autorità che le hanno rilasciate, a condizione di dare piena attuazione, secondo le tempistiche prospettate nelle istanze di cui al comma 2, agli adeguamenti proposti nelle predette istanze, in quanto necessari a garantire la conformità dell'esercizio dell'installazione con il Titolo III-bis, della Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».

La questione era stata sollevata nei giorni scorsi dalle associazioni di Confindustria Fise Assoambiente e Fise Unire che avevano più volte sollecitato il ministero dell'Ambiente a porre rimedio alla situazione, che rischiava di avere «conseguenze gravissime su tutto il sistema industriale italiano».

Al centro della questione le imprese che devono ottenere l'AIA per la prima volta.

Nell'ambito di queste ultime esistono due fattispecie: impianti funzionalmente collegati ad altri già soggetti ad AIA (per esempio, parti di impianto gestite da altro gestore): per esse la circolare 17 giugno 2015 protocollo 0012422/Gab ha già chiarito che la scadenza del 7 luglio 2015 non era applicabile. Diverso il discorso per impianti singoli assoggettati per la prima volta ad AIA. Come nel caso, per esempio, di inceneritori di rifiuti non pericolosi con una capacità superiore a 3 tonnellate al giorno oppure di smaltimento/recupero di rifiuti pericolosi con capacità di oltre 10 tonnellate al giorno mediante trattamento biologico, chimico/fisico; oppure di rigenerazione/recupero di solventi. «Le imprese – avevano rilevato le organizzazioni confindustriali - pur avendo rispettato la scadenza del settembre 2014 per la presentazione della domanda di AIA, si troveranno obbligate a bloccare la propria attività nel caso di ritardi nel rilascio del provvedimento».

AdA

Fonte Sole24Ore

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