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Call center, no ai software di controllo

Call center, no ai software di controllo

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L’Ispettorato nazionale del lavoro, con la circolare 4 del 26 luglio, prende una posizione molto netta sulla «installazione e utilizzazione di strumenti di supporto all’attività operativa ordinaria dei call center». La circolare analizza gli «applicativi software» usati nei call center alla luce della normativa sul controllo a distanza dei lavoratori (articolo 4, legge 300/1970). Anzitutto per determinare se siano o meno «strumenti di lavoro». La distinzione, come si sa, ha un’importanza pratica rilevante: gli strumenti di lavoro non necessitano di accordo sindacale o autorizzazione amministrativa per essere installati; gli altri strumenti, sì.

L’Ispettorato, al riguardo, distingue tra i sistemi di customer relationship management (Crm), che hanno «l’obiettivo di gestire...l’anagrafica del cliente [e] tutti i dati relativi ai rapporti contrattuali in essere con il gestore», e gli «ulteriori software» che registrano disponibilità alla risposta, pause e tempi di evasione della chiamata e quindi consentono il «monitoraggio dell’attività telefonica e della produttività di ciascun operatore di Call Center».

I sistemi Crm, dice la circolare, hanno lo scopo di rendere più efficiente la relazione tra il chiamante e l’operatore: pertanto sono strumenti di lavoro e possono essere installati e usati senza autorizzazione sindacale o amministrativa.

La seconda tipologia di sistemi, invece, non solo non rientrerebbe nella definizione di «strumento di lavoro» ma neppure giustificherebbe il rilascio del provvedimento autorizzativo da parte dell’Ispettorato del lavoro (e quindi nemmeno un accordo sindacale), in quanto non sarebbero ravvisabili imprescindibili e prioritarie esigenze organizzative e produttive che stiano alla base dell'installazione dell'applicativo. Il che significa che sistemi del genere non potrebbero essere installati, pena le sanzioni (amministrative e penali) previste dalla normativa applicabile.

La conclusione dell’Ispettorato lascia piuttosto perplessi, sia per il ragionamento seguito sia per le conseguenze potenzialmente dirompenti che l’applicazione del principio affermato potrebbe provocare. Tutti i call center sono oggi gestiti da software che automaticamente ricevono e smistano le chiamate ai dipendenti in quel momento disponibili, che quindi si sono collegati e non hanno segnalato di essere in pausa. Il sistema inevitabilmente registra presenze, pause e tempi di conversazione, come del resto qualsiasi strumento informatico registra i collegamenti al sistema.

Non si comprende come tale sistema gestionale possa non essere considerato uno strumento di lavoro, trattandosi del sistema attraverso il quale gli addetti rispondono alle chiamate, cioè rendono la prestazione lavorativa loro richiesta. Tantomeno si comprende come possa essere considerato illecito e non autorizzabile, nell’ipotesi in cui non sia ritenuto strumento di lavoro, considerato quantomeno che la visualizzazione della disponibilità o meno dell’operatore è indispensabile per l’instradamento automatico della chiamata e che la registrazione della durata dell’intervento lo è per il controllo della qualità del servizio.

Ciò detto, il tema della tutela della dignità del lavoratore contro controlli “prolungati, costanti, indiscriminati ed invasivi” (o, come talvolta si dice, “anelastici”) in casi del genere certamente esiste, ma va affrontato, nella logica del nuovo articolo 4 dello Statuto, facendo corretta applicazione del comma 3 della norma.

I dati raccolti attraverso gli strumenti che consentono il controllo (di lavoro e non) possono essere utilizzati solo previa adeguata informazione ai lavoratori e nel rispetto dei principi privacy. È a questo livello che si possono eventualmente introdurre correttivi (tecnici o regolamentari) rispetto a controlli anelastici e sproporzionati.

AdA

fonte Sole24Ore 200/17 AB